Premessa ai documenti da "preside".
Ero entrato in Facoltà nel 1962 appena laureato come assistente
volontario del prof. Cesare Bairati: insegnava Elementi Costruttivi, piccoletto,
severo, appassionato studioso della sezione aurea e delle somme geometrie
pitagoriche ed euclidee, formazione scientifica di matrice tedesca anni
30, era noto per le improvvise e feroci collere e soffriva, come molti
architetti torinesi e docenti della Facoltà, di un esplicito complesso
nei confronti di Carlo Mollino, genio sregolato di marca favolosamente
decadente, che usava il conformismo della Facoltà come stimolo
di provocazione antagonista, divertendosi molto, e facendo inferocire
molto i suoi colleghi e piangere i suoi assistenti sottoposti a colorite
sevizie baronali.
Dopo due anni il prof. Bairati passò ad un altra cattedra e a lui
subentrò il prof. Ciribini milanese che, con molta generosità,
accolse tutti gli assistenti del. prof. Bairati: "in questo Istituto,
disse con accento meneghinissimo, ci diamo tutti del tu perché
è una famiglia e dobbiamo stare insieme prima di tutto come amici
e poi come colleghi........ Lei Matteoli ....."
Per conto di Ciribini mi occupai in un primo tempo di problemi molto astratti
(ricordo una ricerca sui sistemi di classificazione che in qualche modo
ci eravamo impegnati a fare per il Conseil International du Batiment)
e poi, "siccome sapevo le lingue", venni assegnato ai "rapporti
internazionali". Dopo due anni mi venne affidato l'incarico di realizzare
un laboratorio per le prove sui serramenti esterni e per i successivi
10 anni mi occupai praticamente solo di quello sviluppandolo e curando
per conto del CNR e dell'UNI i rapporti con altri laboratori europei sui
problemi di normativa e controllo della qualità. Il laboratorio
era una comoda nicchia: non mi occupavo di didattica se non in termini
marginali, viaggiavo in tutto il mondo per seguire i lavori ICITE/CNR
e UNI, le prove per conto terzi consentivano una gratificazione economica
minima, ma rendevano il posto relativamente autonomo dalle logiche perverse
del Consiglio di Amministrazione. Passai nella mia tana gli anni dal 64
al 74: nel 68, dopo la fantasiosa e provocante 'primavera' vinse l'arroganza
dei 'cinesi' e dei 'katanghesi', subentrò la modestia della demagogia
e poi venne la paura.
Non partecipai se non come osservatore critico della stupidità,
della paura, della demagogia: la mia rivoluzione non era quella. Pochi
documenti e personaggi si riscattano dalla modestia del 68 torinese, nessuno
in Facoltà di Architettura. Il CdF concesse, utilizzando una illecita
interpretazione del concetto di esame 'biennale', una riduzione degli
esami del Corso di Laurea da 36 a 24. La decisione venne accolta con incredulo
entusiasmo dagli studenti rivoluzionari e no: in pratica metà della
popolazione studentesca non aveva più nulla da fare se non attendere
che passassero gli anni del corso avendo già sostenuto 24 esami.
E' di quegli anni la formazione e il consolidamento della cellula BR del
Politecnico per la quale qualcuno ha poi pagato con anni di galera delitti
commessi da non si è mai saputo chi. Nel 1975 mi venne dato l'incarico
sullo sdoppiamento della cattedra del prof. Ciribini: avevo fatto domanda
senza molte speranze. La Facoltà sotto la presidenza di Roggero
era governata dal compromesso cattolicocomunista e io non corrispondevo
a nessuna categoria conforme (anzi ero della specie più riprovevole
un liberal/radicale o radical/liberale): credo che non ci fossero alternative
e venni nominato.
Andando avanti negli anni l'attività di ricerca e sperimentazione
diventava sempre più interessante: fui il primo a sperimentare
i collettori solari su larga scala. Avevo contratti di ricerca con il
Ministero della Pubblica Istruzione (1976) e con il Ministero dei Lavori
Pubblici (1980-1981) e li svolgevo, insieme al mio piccolo gruppo di ricerca,
con grande autonomia ed efficacia. Subivamo la persecuzione del Consiglio
di Amministrazione dominato dal PCI/CGIL che sospettava, nella nostra
attività di ricerca, lucri indebiti e deviazioni privatistiche:
eravamo solo entusiasti, ma questo non rientrava nelle categorie interpretative
dei "compagni". Chi lavorava ed era contento doveva essere sospettato.
Da questi limiti il CdA del Politecnico non si è ancora riscattato:
crollano i muri di Berlino, ma il conformismo è ancora sovrano
in quel collegio. Ricordo ancora l'interrogatorio al quale venni sottoposto,
convocato dal Rettore Rigamonti, dal tecnico esecutivo Fiegna, incaricato
dal CdA del quale era un autorevole 'commissario del popolo', di verificare
perché avevo chiamato come collaboratori dei giovani architetti
esterni senza sottopormi alla verifica e al controllo del Consiglio. Il
contratto che il Rettore aveva stipulato con il Ministero prevedeva la
mia responsabilità scientifica e mi autorizzava ad avvalermi di
collaboratori esterni. Fiegna evocò sospetti di interesse privato,
'gestione clientelare' e minacciò cupo 'possibili interessamenti
della magistratura' secondo lo stile che era consueto alla sua cultura.
Assunsi i collaboratori esterni che volevo sostenendo che, come responsabile
di ricerca, non tolleravo che mi si imponessero collaboratori scelti da
altri totalmente ignari di necessità ed esigenze. Fra tutti gli
episodi di amministrazione ideologicamente condizionata di quegli anni
ne ricordo uno particolarmente significativo. Nell'ambito delle nostre
attività di ricerca volevamo comperare dei calcolatori elettronici
Apple: piccoli, efficaci stavano rapidamente dimostrando come per la maggior
parte del lavoro di calcolo corrente il piccolo calcolatore da tavolo
è molto più adatto della enorme macchina centralizzata.
Il Consiglio di Amministrazione del Politecnico, dominato dalle ideologie
della centralizzazione a tutti i costi, aveva fatto il contratto con il
CSI Piemonte e vietava sistematicamente a tutti i gruppi di ricerca l'acquisto
di piccole macchine autonome (la prassi era bollata come individualismo
sciocco e dispersivo, la gazzarra elettronica, anarchia, caos incontrollato).
L'ordine era: collegarsi al CSI con terminali compatibili. Il servizio
del CSI era una barzelletta: attese lunghissime, collegamenti fortunosi
e aleatori, procedure estenuanti, disponibilità di programmi minima,
linguaggi impossibili, assistenza zero.
Resistemmo convinti: alla fine abbiamo comperato un Apple (il primo del
Politecnico di Torino) alla ridicola condizione imposta dal CdA di 'usarlo
come terminale di collegamento al CSI'. Più o meno come collegarsi
a uno schiacciasassi con una bicicletta.
Questo modesto episodio illumina sulle ragioni del ritardo nel campo dell'informatica
che ha caratterizzato la gestione del Politecnico in quegli anni e che
ancora oggi provoca conseguenze negative: le scelte privilegiano sempre
la grande macchina centralizzata quando anche i boy scouts sanno che la
piccola macchina ha oramai una tale potenza di calcolo da poter svolgere
il 98% del lavoro di ricerca corrente. .
Nel 1978 feci il concorso per diventare professore ordinario: insieme
a me concorreva la professoressa Giovanna Guarnerio moglie del professor
Ciribini. Avevo poche speranze di essere portato dal mio 'capo', nè
potevo dargli torto. Mi fece da 'babbo', in extremis, Pierluigi Spadolini
tecnologo ordinario a Firenze, entrai nella graduatoria e nel 1980 venni
chiamato a Torino sulla cattedra sdoppiata del "Maestro" Ciribini.
Con il 1981 scadeva il quarto triennio di presidenza Roggero che non poteva
essere rieletto perché la legge imponeva ai candidati il tempo
pieno. Con atteggiamento assolutamente impertinente e 'non torinese' dichiarai
la mia disponibilità inviando a tutti i colleghi il documento 'Appunti
per un preside' (cfr). La cosa disturbò profondamente il gruppo
degli storici/compositivi e la cellula del PCI interprete e fedele esecutrice
delle logiche accademiche di questi. Avevo quindi contro il PCI, gli storici
'organici', i compositivi : facendo i conti con molta attenzione potevo
essere eletto dalla maggioranza silenziosa 'al filo di lana'. Il PCI non
aveva candidati e i compositivi giuravano che il Ministero avrebbe abrogato
il vincolo sul tempo pieno: era questione di giorni, al massimo settimane
e il prof. Roggero avrebbe potuto essere rieletto. Quando il Decano della
Facoltà prof. Goria nel luglio del 1982 convocò l'assemblea
per la elezione del Preside il prof. Gabetti inviò una lettera
a tutti i docenti invitandoli a disertarla. Un gesto gravissimo. Vennero
all'assemblea 21 docenti: 2/3 più uno e l'assemblea era tecnicamente
valida. Giorgio Ceragioli, amico e maestro, la invalidò uscendo
prima della votazione perché non riteneva dignitosa l'elezione
in quelle condizioni. I presenti mi votarono comunque all'unanimità
e io scrissi al Ministro Bodrato chiedendo che la nomina non venisse ratificata.
Il Ministro impose la ripetizione della liturgia: anche altri avevano
fatto la mia stessa istanza. L'assemblea venne ri-convocata nel novembre
82 ad Anno Accademico iniziato. Il PCI con il gruppo degli storici e compositivi
organici aveva trovato un candidato disposto a fare da testa di legno:
il prof. Simoncini, storico di Roma che era a Torino quasi come un "turista".
Venni eletto con una maggioranza di pochi voti.
La Facoltà era distrutta dopo 12 anni di gestione demagogica e
di cultura "organica". Si laureavano architetti che non avevano
mai sostenuto un esame di scienza delle costruzioni: molti ordini professionali
non ammettevano i laureati di Torino. Da Reggio Calabria e dalla Sicilia
venivano a Torino centinaia di studenti per laurearsi con la 'rapida'.
I docenti e i compositivi "organici" sostenevano che il fenomeno
era dovuto alla grande qualificazione del nostro Corso di Laurea e forse
ancora oggi c'è qualche irriducibile di questa opinione. Il nodo
venne al pettine un anno dopo quando il nuovo Rettore Stragiotti mi chiese
come mai avevamo, unica sede Italiana, un corso di laurea in architettura
con soli 24 esami rispetto ai 36, 32, 30 delle altre sedi. Domandai informazioni
ai "vecchi", Roggero, Gabetti, Varaldo: nessuno ricordava nulla.
Cominciai allora a consultare sistematicamente tutto l'archivio della
Presidenza e trovai in una cartella nascosta in fondo a un armadio, (un
vero colpo di fortuna) non protocollata in arrivo, una lettera del Ministro
della Pubblica Istruzione Misasi che respingeva la proposta della Facoltà
di darsi uno Statuto con un corso di laurea di 24 esami, chiedeva la immediata
"rideliberazione" pena l'annullamento del titolo: la data era
del 1970. Per più di dieci anni la Facoltà non aveva riscontrato
l'ingiunzione del Ministro e aveva continuato una pratica illegittima.
Con il nuovo Rettore Stragiotti chiedemmo istruzioni al Ministero. L'allora
direttore generale della Istruzione Universitaria dr. Fazio dettò
lapidario: adeguarsi immediatamente. Chiesi un riscontro scritto e mi
disse che se scriveva qualcosa doveva anche nominare una commissione di
inchiesta. Esposi il problema al CdF chiedendo l'indispensabile supporto
per riparare il guasto in tempi rapidissimi. Il CdF approvò, ma
la cellula del PCI e il gruppo di docenti "organici" speravano
che l'incidente opportunamente gonfiato avrebbe potuto portare alle mie
dimissioni. Nelle riunioni della cellula si parlava con entusiasmo di
'cavalcare la tigre della ribellione studentesca'. L'incidente fu difficilissimo
da chiudere: il momento più triste fu quello del Consiglio di Facoltà
aperto agli studenti nel quale il prof. Roggero affermò di non
conoscere e di non avere mai ricevuto la comunicazione del Ministero.
L'incubo dei 4000 piani di studio da mettere a posto e dei 16.000 esami
da far sostenere consumò il triennio della presidenza durante il
quale riuscii peraltro a cambiare parecchie altre cose: mostre, seminari,
conferenze, dibattiti, docenti stranieri, riaccesero il dibattito e animarono
una Facoltà che era stata addormentata dal conformismo degli organici
al PCI. Qualcuno, nostalgico, diceva che era il 'supermercato della cultura'
e non nascondeva il più totale disprezzo. Le riunioni del Consiglio
di Facoltà erano però diverse: rinasceva la dialettica,
le opinioni si potevano esprimere liberamente e il Preside si poteva liberamente
contrastare. Era finita la 'paura'. Fu in quel periodo che riuscii a innescare
due strutture fondamentali per la Facoltà: il Centro di Calcolo
e il Laboratorio Audiovisivi. Per il Centro di Calcolo avevo ottenuto
un finanziamento su una legge per attrezzature del Ministero della Pubblica
Istruzione: volevo comperare una macchina piccola ma dell'ultima generazione.
Il Consiglio di Amministrazione mi obbligò a rilevare un vecchio
PDP 11/23 che la Facoltà di Ingegneria aveva comperato da diversi
anni e non aveva mai usato: anzi aveva cercato di usare per fargli compilare
...... i diplomi di laurea. Senza successo: i diplomi non vennero compilati
per 5 o 6 anni perché ......'tanto li avrebbe fatti il computer!...'(
se ne accumularono più di 15.000). La macchina, oramai obsoleta,
era una evidente testimonianza del 'centralismo democratico' applicato
dagli ingeneri agli acquisti nel campo della informatica: nonostante la
mia resistenza mi venne imposta 'de vi'. Durò poco servì
a meno e costò carissima alla Facoltà (e al Poli) in termini
di manutenzione Digital: il Consiglio di Amministrazione del Politecnico
trovò il modo di associare nel suo ritardo informatico anche la
Facoltà di Architettura e si mise a posto la coscienza per un evidente
malaccorta spesa. Il PDP 11/23 venne abbandonato dopo poco più
di un anno e La Facoltà venne adeguatamente e finalmente attrezzata
con un laboratorio.......... di tante, efficacissime piccole macchine,
apprezzatissime dagli studenti e dai docenti, accessibili e 'user friendly'.
Finalmente anche il CdA del Politecnico aveva capito quali strategie si
dovevano seguire per una efficace politica di informatizzazione dell'Ateneo.
Costosamente e con 10 anni di ritardo che però non si configurano
come motivo di attenzione per la magistratura.
Alla scadenza del primo triennio decisi di ripresentarmi e inviai un documento
di programma e riflessioni (cfr): questa volta il PCI comprese che opporsi
non conveniva. Biagio Garzena comunicò l'astensione del gruppo
di docenti 'organici' riconoscendo come positiva la mia gestione del primo
triennio, i compositivi e gli storici 'organici' non avevano rinunciato
e avevano convinto il prof. Ciribini, oramai fuori ruolo, a presentarsi
come candidato, nella convinzione che, di fronte al "maestro",
avrei ritirato la disponibilità. Ciribini mi venne affettuosamente
ad avvertire che avrei fatto una figuraccia: gli avevano garantito una
solida maggioranza. Dissi al "maestro" che non potevo ritirare
la candidatura e che era un preciso dovere per me sottoporre al giudizio
della Facoltà l'operato dei tre anni trascorsi.
Venni confermato per il secondo triennio con una grande maggioranza: tre
voti al prof. Ciribini e una manciata di astenuti PCI.
Dopo un anno e mezzo, eletto nel Consiglio Comunale e nominato Assessore,
mi dimettevo dalla Presidenza e cominciavo un'altra esperienza di servizio
pubblico.
Durante il mio servizio come Preside sono stato responsabile di due importanti
operazioni: gli adempimenti previsti dalla legge 382/83 (Riordinamento
dell'Università) e l'adozione del nuovo Statuto: complessivamente
ho gestito più di centoventi Consigli di Facoltà verbalizzandoli
e preparandoli accuratamente con un promemoria su tutti i punti all'odg
che veniva inviato a tutti i docenti con la convocazione: prassi mai seguita
prima e di notevole utilità per garantire una partecipazione critica
dei docenti al CdF. La legge 382/83 e l'adozione del nuovo Statuto hanno
richiesto un enorme lavoro amministrativo: la ricostruzione di tutte le
carriere e la ricollocazione dei docenti sui nuovi insegnamenti e sulle
nuove titolarità, la ristrutturazione di tutti i piani di studio.
Dopo dieci anni il documento per la candidatura alla presidenza dell'81
ha il sapore dell'ingenuità : la mia fiducia nella 'dialettica
interna' come motore di autoregia dei processi culturali è espressa
con grande candore, si sente rileggendo anche lo sforzo che avevo fatto
per evitare polemiche e antagonismi eccessivi ed è forse da questo
sforzo che deriva una relativa banalità del documento. Questo sforzo
non ebbe molto successo, o, forse, non era poi così svolto, visto
l'antagonismo che la mia candidatura provocò.
Nel documento per la candidatura del 1983 si sente il peso della vicenda
'esami', il tono però è cambiato e l'esperienza dell'ufficio
è evidente. Anche la 'dialettica interna' alla Facoltà era
però molto cambiata e potevo essere relativamente più sereno.
Nell'ultimo documento che invio ai docenti (febbraio 86) richiamo l'attenzione
sulla necessità di attendere la 'dialettica quotidiana' e il dibattito
continuo e diffuso: come spesso succede nel nostro paese il fascino di
rivoluzioni che nessuno è capace di fare supera quello per il lavoro
sistematico e quotidiano e l'agitazione degli studenti, provocata dalla
messa a regime difficoltosa del nuovo ordinamento del Corso di Laurea,
strumentalmente esaltata da qualche nostalgia del 68 dei 'leaderini' rischiava
di sfuggire di mano.
Era già cominciata la mia esperienza nell'Amministrazione di Torino
e i problemi dell'Università si stavano allontanando dai miei interessi
immediati: i colleghi professori mi sembravano astratti, disinformati
e, a fronte dell'astrazione e della disinformazione troppo sicuri e garantiti.
La campagna elettorale per le Amministrative del 1985 era stata una esperienza
a forte contenuto di formazione: a poco a poco cresceva la mia sensazione
che la categoria dei professori universitari vive in una situazione di
grande privilegio, poco verificati nella produzione scientifica, negli
adempimenti, nella preparazione, godono di una autorità che la
grande maggioranza è lontana dal meritare e spesso si comportano
con arroganza.
Questa sensazione viene sistematicamente confermata negli anni successivi.
Gli appunti per
un preside del 13 ottobre, 1981.
Documento con il quale comunicai ai colleghi della Facoltà di
Architettura la mia autocandidatura alla presidenza della Facoltà
nell'ottobre del 1981 (venni eletto un anno dopo nel novembre 82). Un
gesto profondamente "antitorinese". Il gruppo che controllava
la Facolta' (una alleanza tra PCI e DC sotto la guida carismatica di Roberto
Gabetti) fu provocato e disturbato profondamente dalla mia iniziativa.
Roberto Gabetti invio' una lettera a tutti i docenti pregandoli di non
partecipare all'Assemblea indetta dal Decano (Prof. Goria) per l'elezione
del Preside. Un gesto da Consiglio di Disciplina. L'assemblea ando' semideserta
parteciparono solo i docenti a me favorevoli, fui eletto e rifiutai il
risultato scrivendo al Ministro Bodrato di chiedere alla Facolta' di "rivotare".
Le nuove elezioni si tennero a Dicembre: la coalizione PCI/DC (storici
e compositivi) presento' un candidato "finto" (prof. Simoncini
uno storico di Roma assolutamente insignificante) e io vinsi con il 65%
dei voti. Tre anni dopo la coalizione PCI/DC presento' come candidato
il mio Maestro Ciribini pensando che di fronte alla candidatura del "capo"
io mi sarei ritirato. Ciribini, cortesemente avvertendomi di avere la
maggiranza garantita da Gabetti, mi chiese con paterna benevolenza, di
ritirarmi per non fare brutte figure. Lo avvertii che avrebbe avuto tre
voti e non la maggioranza promessa da Gabetti. Il risultato fu umiliante
per il mio Maestro: ebbe tre voti. Io venni eletto dal resto della Facolta'
meno 13 astenuti: lo zoccolo duro del PCI. Biagio Garzena aveva annunciato
l'astensione del PCI ammettendo a malincuore che io ero stato un "bravo
preside".
Ecco il mio documento
le note in calce sono riflessioni dieci anni dopo:
Appunti
per un Preside.
Ottobre
1981
I problemi che dovrà affrontare la Facoltà con il Preside
del prossimo triennio si possono, a mio avviso, organizzare nelle seguenti
categorie:
. dialettica interna
. dialettica esterna
. ricerca nella facoltà
. lavoro nella facoltà
. didattica
. adempimenti 382 e messa a regime della ristrutturazione approvata dal
CUN
. routine burocratica
LA DIALETTICA INTERNA
La Facoltà di Architettura negli ultimi 12 anni ha subito una trasformazione
radicale vedendo moltiplicato per un fattore 5 il corpo studentesco e
per un fattore non ben precisabile e forse superiore il numero di corsi
ai quali dà accesso in modo diretto o indiretto.
Sul piano ideologico la complessità del servizio didattico e di
ricerca che si svolge è sfuggita, da tempo, ai normali strumenti
di gestione e coordinamento e le diverse forme di didattica evoluta sperimentate
e in corso di sperimentazione sembrano sempre trovare le maggiori difficoltà
proprio nella correlazione interna e contestuale, oltre che nei limiti
oramai cronici della struttura organica e logistica. (1)
Non è possibile controllare fenomeni così complessi solo
in termini di normativa e di strumentazione gestionale. Se questo atteggiamento
è accettabile in una gestione aziendale, nel caso della Università
appare riduttivo e grezzo. Nell'Università, infatti, per motivi
connessi all'Istituto ed ai fini che è tenuto a perseguire, ogni
discorso di normativa e di strumenti di gestione deve essere subordinato,
o, quanto meno, accompagnato, da una cultura della comunicazione fra tutti
coloro che operano al suo interno. Cultura che deve essere istruita. La
cultura, il costume, l'abitudine e il piacere della comunicazione e del
confronto interno, informale, diffuso, continuo sono la base indispensabile
per tutte le successive operazioni di struttura e di organizzazione. (2)
Quando esiste, e sia effettiva, una comunicazione e una informazione interna,
intensa e viva, molti problemi di coordinamento trovano naturale e immediata
soluzione. La definizione delle aree disciplinari, delle discipline
specifiche, dei campi di ricerca e di azione didattica e delle diverse
interazioni e connessioni logiche e strutturali, ne sarà la conseguenza.
La dialettica interna è la condizione fondamentale che consente
identificazione, collocazione critica e presenza sui problemi emergenti
e sulle diverse priorità, ed è uno strumento insostituibile
di 'autoregia' per un sistema complesso come quello nel quale operiamo.
Non esistono modelli o formule che consentono l'innesco di questo costume
in modo automatico e immediato e, anzi, è necessario fare molta
attenzione ad ogni forzatura perché si rischia il rifiuto e il
rigetto categorico. (3) L'istruzione di un comportamento comunicazionale
aperto è un programma a lungo termine che, peraltro, ha il suo
momento fondativo nella posizione immediata della sua necessità.
Ogni atto compiuto e decisione all'interno della Facoltà deve avere
presente questo obbiettivo.
Le iniziative immediate e a breve termine in questa area di problemi sono
tutte quelle che danno alla Facoltà una maggiore conoscenza di
se stessa: luoghi, occasioni e servizi di confronto e comunicazione interna,
fra i diversi utenti e operatori. Si tratta in genere di potenziare l'attività
e la capacità operativa di organismi esistenti: centro stampa,
servizio di documentazione, biblioteca e attività connesse, assistenza
agli studenti, consulenza sui piani di studio etc.
Una attenzione continua e sistematica al profilo sociale degli studenti,
rilevato con adeguata competenza, potrebbe essere matrice di indicazioni
più originali e consistenti.
LA DIALETTICA ESTERNA
Un sistema caratterizzato da intensa comunicazione interna si pone, nei
confronti dell'ambiente esterno, in termini di massima ricettività
e di massima potenzialità espressiva: i segnali del mondo vengono
percepiti con maggiore sensibilità, precisione e immediatezza,
la presenza critica e attiva sui problemi in essere e in emergenza risulta
quindi rafforzata e consolidata. La Facoltà avrebbe inoltre una
identità, se non più precisa, più esplicita per il
'referente esterno' e questo faciliterebbe il colloquio e la interazione.
Anche se la struttura complessiva della Università italiana verrà
profondamente modificata, per quanto concerne i collegamenti istituzionali,
interdipartimentali e interfacoltà, da graduale innesco delle diverse
configurazioni previste dalla legge 382 e dalla ristrutturazione del Corso
di Laurea in Architettura recentemente elaborata dal CUN e approvata dal
Ministero, è opportuno che il modello di relazioni burocratico
e istituzionale da istruire venga perseguito, e criticamente facilitato,
attraverso una attenta e continua attività di collegamento con
il mondo universitario nazionale, con quello internazionale, con le professioni,
le industrie, le istituzioni pubbliche responsabili del territorio e con
tutti gli attori sociali. Le possibilità e le occasioni di collegamento
con istituti stranieri, sia a livello di studenti che a livello di corpo
docente, sono ora sfruttate in modo relativo: solo l'occupazione dello
spazio attualmente disponibile (borse di studio, visiting professors,
programmi di ricerca intereuropei promossi dalla CEE) potrebbe avere conseguenze
significative sulla vita culturale della nostra scuola. (4)
Di particolare importanza è in questi anni la revisione del collegamento
culturale e scientifico con la Facoltà e il Corso di Laurea in
Ingegneria: la nostra Facoltà ha subito un rapporto subalterno
(5) che ha conseguenze negative per tutto il Politecnico e che sarebbe
bene risolvere anche nelle implicazioni di servizio strutturale e amministrativo.
Il collegamento con le altre Facoltà degli Atenei Torinesi chiaramente
istruito dalla possibilità che i nostri studenti hanno di sostenere
esami e seguire corsi praticamente ovunque, deve trovare un riscontro
operativo e sistematico anche a livello di docenza.
La dialettica esterna, e cioè il collegamento vivace con il contesto
e con tutte le forze che vi operano, è la base per una continua
finalizzazione del servizio didattico e di ricerca alle esigenze storicamente
emergenti e, in ultima analisi, la struttura fondamentale per garantire
ai nostri laureati lavoro e competenza. (6) E' da questa dialettica che
si consolida e si definisce il ruolo di 'guida' che è fondamentale
responsabilità dell'Istituto Universitario rispetto alla Società
per la quale vuole operare.
Anche in questa area di problemi le iniziative specifiche dipendono da
un atteggiamento culturale generale che deve essere istruito su tempi
medi: affidare una responsabilità specifica per la promozione della
interazione culturale della Facoltà con enti e organismi nazionali
e internazionali nei vari settori di competenza e interesse potrebbe
essere un suggerimento da vagliare.
LA RICERCA NELLA UNIVERSITA'
Una delle connotazioni caratteristiche della ricerca svolta dalla cultura
degli architetti, e quella maggiormente qualificante e originale,è
di affrontare con una visione complessa e umanistica i problemi riducendo
in tal modo il pericolo di tecnicismo deterministico e dell'approccio
specialistico; ciò consente una maggiore coerenza con la realtà
che è sempre complessa. Mentre fino a pochi anni fa questo atteggiamento
non veniva accettato dalla cultura dominante, per l'offerta di ricerca
della cultura degli architetti c'è oggi, invece, una forte disponibilità
e domanda in campi svariatissimi di committenza sia pubblica che privata.
La Facoltà ha difficoltà a rispondere in modo adeguato a
questa domanda per diversi motivi primo fra tutti è la mancanza
di un quadro procedurale e normativo con il quale gestire i rapporti con
le committenze e i rapporti con i ricercatori. Per una serie di circostanze
che dovranno essere, in opportuna sede, analizzate e dibattute. La politica
dell'Università italiana negli ultimi dieci anni è stata,
di fatto, quella di scoraggiare l'iniziativa di coloro che volevano svolgere
ricerca con l'esterno. L'organico di ricercatori si è andato assottigliando
da una parte (i precari esterni che non si possono pagare) ed è
andato invecchiando dall'altra (i contrattisti e gli assegnisti non rinnovati
dal blocco dei concorsi. La Facoltà ha perso un importante alone
di operatori che svolgevano un ruolo di collegamento con il contesto e
costituivano un spazio di qualificazione e preparazione per il successivo
inserimento nella Università o nella professione. Eliminando radicalmente
quest'area (7) si sono, è vero, eliminati molti problemi del precariato
e situazioni di sfruttamento scorretto, ma si sono anche perduti posti
di lavoro e potenzialità operativa: una azione di recupero degli
aspetti positivi sembra quindi proponibile e in tal senso dovrebbe essere
interpretata una serie di dispositivi della 382.
Se si vuole fare ricerca oggi ci si può impegnare solo in linea
strettamente personale ed essere disposti a grossi sacrifici sul piano
della remunerazione: e d'altra parte se si vuole sopravvivere culturalmente
e didatticamente, si deve fare ricerca. Lo spazio è quindi limitato
al volontarismo sacrificale, alla militanza o a coloro che, godendo di
altre rendite, possono mantenersi l'hobby della ricerca universitaria.
Tutto il problema della ricerca nell'Università quindi, insieme
a quello del lavoro, necessita di profonda revisione e un dibattito sulla
interpretazione del disposto normativo della 382 è urgente e indispensabile
e deve essere fatto insieme ai sindacati (8) e agli ordini professionali
per poter definire in modo realistico e attuale la figura dell'operatore
di ricerca Universitario.
Sono stati eliminati dalla Facoltà (e da tutta l'Università
italiana) i ricercatori laureati negli ultimi dieci anni accademici che
in qualche modo devono venire recuperati, così come deve essere
recuperata la possibilità di lavorare e di essere presenti nelle
zone di committenza in modo analogo a quello che caratterizza altre aree
di offerta di ricerca (grandi enti dello Stato, grande industria privata).
La ricerca condotta nell'Università per committenze esterne deve
essere vista e adoperata come uno strumento fondamentale di integrazione
del servizio didattico e di consolidamento e aggiornamento della competenza
dei docenti. Tutte le componenti attive (9) devono poter accedere agli
spazi di ricerca con formule contrattuali adeguate alle specifiche esigenze
di sicurezza e di flessibilità della domanda e della offerta di
prestazioni, la formazione dei gruppi di lavoro deve consentire la sinergia
derivante dalla affinità sul piano umano e culturale e deve controllare
i fenomeni di chiusura clientelare e parrocchiale.
Chi dirige e si assume la responsabilità e l'onere di svolgere
i contratti di ricerca deve poter essere adeguatamente pagato con integrazioni
che siano significative del lavoro svolto (10) e del tempo impegnato:
la integrazione con il 30% dello stipendio equivale spesso a pagare 1000
ore annuali di prestazioni ad elevata qualifica in ragione di 3 o 4000
lire all'ora. I conflitti con gli Ordini professionali devono essere gestiti
nell'assunto fondamentale che la ricerca, anche progettuale, svolta nella
Università non è una concorrenza illecita, ma è di
solito una azione che apre nuovi sbocchi professionali, nuove occasioni
di lavoro sia per i giovani che per la professione affermata. Alla innegabile
evidenza del fatto che il bilancio di ricerche e convenzioni del Politecnico
di Torino supera di tre o quattro volte il bilancio della dotazione ministeriale
deve corrispondere una struttura normativa e di organico coerente. La
gestione della ricerca nell'Università e in particolare nella nostra
Facoltà dovrebbe anche tenere presenti criteri di ridistribuzione
interna dei fondi acquisiti con ricerche applicate (facilmente commerciabili)
per promuovere e sostenere in modo adeguato quelle ricerche di matrice
umanistica e sociali per le quali è più difficile trovare
committenze esterne, perché è proprio per la presenza di
quelle nella nostra Facoltà che la nostra offerta si qualifica
e si differenzia. Con questo problema si interseca quello del 'tempo pieno':
nodo centrale e determinante per il significato complesso della legge
di riforma dell'Università che il dettato della legge stessa ha
peraltro tradito: il 'tempo pieno' non può essere riscontrato dalle
350 ore, dovrebbero essere almeno 1200, così come è assurdo
il limite di 250 ore per il tempo definito. Ridicola quindi la differenza
discriminante di 100 ore. Questa carenza della legge ha originato e sarà
fonte di non poche distorsioni e ambiguità. Nonostante questa obbiettiva
debolezza della norma il 'tempo pieno' deve essere incoraggiato, incentivato
e promosso. Nella nostra Facoltà ciò deve poter avvenire
in modo aderente ai suoi specifici problemi: chi fa il 'tempo pieno' (vero
e non finto) deve poter operare con la scuola nella realtà e cioè
deve avere la possibilità di gestire e partecipare in modo completo
e responsabile ai processi progettuali e di definizione ambientale vedendo
riconosciuto in modo congruente l'impegno, il tempo e la competenza: il
problema è senz'altro di griglia più ampia di quella coerente
con questi appunti e richiede un collegamento con la normativa professionale
europea e con i modelli di esercizio della professione in ambito universitario
sperimentati in altri paesi, deve inoltre essere verificato con le intenzioni
della responsabilità centrale nel merito specifico
Nell'affrontarlo si dovranno tenere presenti gli scopi fondamentali dell'Istituto
Universitario che sono ricerca e didattica senza peraltro accedere a suddivisioni
manichee (11) o consentire equivoci di comodo: anche in sede professionale
spesso il progetto è ricerca e sempre l'esperienza qualificata
contribuisce alla didattica: è una continuità di campo che
distingue la nostra Facoltà rispetto ad altre aree del mondo universitario
e per la quale si dovranno trovare soluzioni sia sul piano ideologico
che su quello della normativa.
La Università in Italia e, nel suo ambito, la Facoltà di
Architettura di Torino contengono oggi competenze e potenzialità
di offerta di ricerca e di servizio culturale, che sono indubbiamente
pari e spesso superiori, per qualità e per aggiornamento, a quelle
delle altre aree di offerta di ricerca del settore industria privata e
a partecipazione statale: si devono trovare le configurazioni operative,
le forme contrattuali e le procedure per sfruttare questa potenzialità
nel modo più completo possibile perché questo significa
e comporta quasi immediatamente sbocchi professionali, occupazione a
breve e medio termine, qualificazione della didattica e coerenza con quelli
che da sempre sono gli scopi fondamentali dell'Università.
IL LAVORO NELLA UNIVERSITA'
Il problema non si differenzia sostanzialmente da quelli trattati in precedenza
qualora si ammetta la continuità che collega molti aspetti delle
nostre ricerche con la pratica progettuale o di definizione e critica
ambientale.
Si può assumere come indicazione per questo problema la posizione
che si intravede nel documento della Commissione CUN del Politecnico di
Torino:
".... il modo di strutturare un dipartimento non è affatto
indipendente dal desiderio di incentivare o meno il tempo pieno. E se
incentivare chi desidera operare all'interno dell'Università va
considerato compito prioritario degli organi di governo e come premessa
per uno sbocco positivo della sperimentazione organizzativa e didattica,
occorrerà un serio approfondimento di questo tema a breve scadenza."
(12)
E' interessante rilevare come, giustamente, la Commissione CUN abbia indicato
questo come problema 'cerniera' tra didattica, assetto dipartimentale,
ristrutturazione. E' un problema difficile, attualmente gestito con molte
riserve dalle diverse responsabilità, sul quale, con sindacati,
Ordini Professionali e organismi centrali si dovrà impostare un
dibattito di chiarimento, e per la soluzione del quale dovranno essere
sfruttate le occasioni fornite sia dalla 382 che dalla ristrutturazione
delle Facoltà di Architettura.
Il contenuto, determinante per una didattica efficace nel nostro campo,
che viene dall'operare con la scuola nella realtà, non può
essere ignorato da atteggiamenti evasivi o da comportamenti di specifica
contingenza: si deve poter lavorare nell'Università e il lavoro
che in questa si svolge deve essere adeguatamente informato da normativa
congruente, sia per quanto concerne gli aspetti di responsabilità
professionale, che per quanto concerne quelli relativi alle competenze.
LA DIDATTICA.
Uno dei problemi fondamentali della didattica nella nostra Facoltà
è quello dato dalla necessità di svolgere (in modo contemporaneo
e non distinto) la funzione di educazione sociale conseguente alla scelta
fatta nel 1968 con la massima apertura dell'accesso alla Università
e la preparazione qualificata degli operatori tecnici e professionali.
Mentre è necessario confermare il significato e la insostituibile
funzione culturale della Università (13) a larghissima partecipazione
sociale, fenomeno, e, oggi, patrimonio peculiare italiano dalle implicazioni
determinanti sul lungo termine, è anche necessario riconoscere
che, senza adeguata struttura, la Università di massa resta una
utopia o, peggio, un gesto puramente demagogico. Mancare questa distinzione
e non fare sforzi per risolverla, significa non coglierne i vantaggi e
aprire uno spazio enorme alla qualificazione postuniversitaria gestita
in termini privati e strumentali da forze più o meno controllate
da finalità specifiche se non riduttive di logiche aziendali. Né
si può affermare che il dispositivo del dottorato di ricerca della
382 contribuisca in qualche modo a risolvere questa conttraddizione essendo
di portata relativamente ridotta rispetto al problema.
Le recenti sessioni dell'esame di Stato hanno chiaramente denunciato la
necessità di un chiarimento in questo settore: la Facoltà
svolge un servizio didattico assi più ampio di quello necessario
per l'esercizio della professione di architetto e solo una aliquota dei
curricula sono coerenti con questa logica di preparazione. (14)
E' una situazione chiaramente conflittuale che richiede la verifica partecipata
di molti operatori e componenti del mondo politico, professionale, sindacale:
anche su questo spettro di problemi è necessario un ampio dibattito
e un impegno che sono senz'altro ulteriori rispetto alla specifica occasione
e alle responsabilità della Presidenza, ma che ne dovranno informare
spesso l'azione e la posizione.
L'avvio di una soluzione di questo problema (che è strutturale)
richiede attenzione in sede nazionale, interpretazioni coerenti del dispositivo
di ristrutturazione delle Facoltà di Architettura e maturazione
culturale dei referenti ideologici e sociali. Una condizione preliminare
è la chiarezza del rapporto fra la Facoltà e le sue diverse
utenze, quindi distinzione modale e organica delle condizioni relative
ai diversi servizi.
Una delle critiche ricorrenti che viene fatta dagli utenti della Facoltà
è la scarsa coordinazione che caratterizza il 'servizio' didattico:
lo strumento fondamentale per risolvere il problema è quello della
'autoregia' che conseguirebbe al potenziamento della comunicazione interna.
E' uno strumento che, come si è detto, richiede tempi relativamente
lunghi e vigore ideologico per l'innesco e la gestione, ma che è
sicuramente più efficace, sul lungo termine, di qualunque iniziativa
normativa o regolamentare. La istituzione di una segreteria di consulenza
agli studenti, sul modello degli 'advisors' delle università inglesi
o americane potrebbe facilitare, nel breve termine, la preparazione dei
curricula e semplificare il processo di decrittazione della struttura
per gli studenti dei primi anni. I nuovi assetti e le precisazioni dei
campi disciplinari e delle materie, che la 382 impone, potranno essere
una forte occasione di razionalizzazione con effetti relativamente leggibili
sul breve termine: il dibattito su campi disciplinari, aree e temi, dovrebbe
costituire una attività centrale del Consiglio di Facoltà
che su questo, come su altri argomenti, dovrebbe ridurre la delega a gruppi
e commissioni specifiche. Una didattica aggiornata e coerente con le esigenze
del contesto, in genere consegue ad una attività di ricerca aderente
alla realtà contingente e ad un dibattito relativamente continuo
ed istituzionale che coinvolga tutti gli operatori e gli utenti della
Università.
ADEMPIMENTI 382 E MESSA A REGIME DELLA RISTRUTTURAZIONE DELLE FACOLTA'
DI ARCHITETTURA APPROVATA DAL CUN
La nuova configurazione strutturale della Università italiana è
delineata dalla legge 382 con molta precisione formale, spesso a questa
non corrisponde altrettanta precisione sui contenuti dei diversi istituti
e dei diversi organismi. Emblematico è l'esempio dei dipartimenti
che sono stati interpretati da diverse sedi universitarie in modo affatto
diverso a seconda delle diverse preesistenze culturali di ogni specifica
situazione. Indirizzi di laurea e corsi di laurea e le relative interazioni
avranno analoghe difficoltà di interpretazione e istruzione, così
come non sarà semplice la gestione operativa dei corsi di dottorato
di ricerca. La gestione dell'innesco della riforma dell'Università
si presenta quindi come uno dei problemi più gravi e difficili
sul quale la competenza dell'ufficio della Presidenza (ufficio che in
pratica è destinato a scomparire nella nuova Università)
sarà impegnato, sia per le implicazioni organizzative che per i
molti problemi di gestione transitoria, insieme agli organismi appropriati
del CUN in sede locale e in sede centrale. Sarebbe errato pensare di risolvere
il problema in termini puramente burocratici: la 382 può essere
una formidabile occasione di innesco per un modello di Università
moderna e dinamica, ma può anche essere l'occasione di consolidamento
delle distorsioni che hanno caratterizzato l'azione legislativa in questo
settore negli ultimi anni, o, peggio ancora, può essere l'occasione
di innesco per operazioni di conservazione più o meno evidente.
Una critica attenzione del Consiglio di Facoltà e una costante
e documentata discussione sulle diverse fasi di adempimento formale sono
fra le poche garanzie per ridurre i rischi in questo campo e spetta alla
Presidenza fare in modo che questo spazio sia disponibile ed effettivamente
occupato da tutti gli operatori della Facoltà.
PROBLEMI LOGISTICI, SPAZIO FISICO, ATTREZZATURE E ASPETTI ORGANIZZATIVI.
Il trasferimento della sede della Facoltà in Corso Unione Sovietica
deve essere collocato nella prospettiva corretta di tempo e non deve
distrarre attenzione e sforzi dalla gestione e dall'adeguamento dello
spazio attualmente a disposizione: esigere l'attenzione dell'Ateneo e
i fondi necessari per il riassetto dei servizi esistenti (biblioteca,
centro stampa, centro di documentazione), e per riorganizzare lo spazio
in funzione della dipartimentalizzazione in atto ed emergente, promuovere
la acquisizione di strumenti attuali di studio, ricerca e comunicazione,
aggiornare le attrezzature degli spazi didattici, accelerando i tempi
di esecuzione dei lavori già progettati e praticando una manutenzione
continua ed una adeguata pulizia.
Il dibattito nel CDF dovrebbe essere incentrato e privilegiare i problemi
di fondo ( dipartimenti, piani di studio, responsabilità culturale
della Facoltà, analisi e critica delle norme di riforma, identificazione
delle discipline e dei relativi modelli didattici...) mentre gli aspetti
di gestione corrente (15) dovrebbero essere affidati a documenti scritti
e circolati con la convocazione. Nei limiti della scarsa probabilità
che connota la dinamica operativa degli organismi centrali (Ministero,
CUN, etc.) sarà anche necessario tentare una programmazione e un
calendario delle attività del CDF.
Le strutture di servizio alla Presidenza non dovranno comunque alienare
la verifica e la presenza del CDF che deve venire consolidato come luogo
e centro di gestione. (16)
ROUTINE BUROCRATICA E GESTIONALE
Tutti i programmi e tutte le ipotesi di gestione della Presidenza nel
prossimo triennio, da quelle più riduttive di semplice gestione
burocratica degli affari correnti, a quelle più ampie di servizio
attivo e critico alla fase di ristrutturazione e all'innesco degli adempimenti
della legge 382, dovranno comunque vedere una assunzione di responsabilità
diretta e precisa nella persona del Preside con una assistenza organica
e strutturata all'ufficio e una partecipazione attenta del Consiglio di
Facoltà senza le quali ogni prospettiva è sterilmente velleitaria.
Torino 13 ottobre, 1981
Note 1999
1. l'apertura è volutamente eufemistica: in realtà
la Facoltà era nel caos più completo, i contenuti dei corsi
non erano controllati dal Consiglio e i programmi erano lasciati alla
fantasia dei singoli docenti. La lettura della guida dello studente di
quegli anni è un buon riscontro di questa affermazione.
2 comunicare quello che si faceva era ritenuto un gesto di presunzione
e non il più elementare debito di chi ha una pubblica responsabilità,
così importante come quella didattica
3 chiedere ai docenti di informare sulla loro attività nella anarchia
di quegli anni era veramente una manifestazione di grande ottimismo
4 la non conoscenza delle lingue, che è una delle note caratteristiche
della università italiana e della generazione allora in carica,
aveva inquadrato nel più totale disinteresse ogni potenziale scambio
con l'estero e con gli organismi internazionali
5 gli ingegneri consideravano la Facoltà di Architettura come una
specie di legione straniera: il sospetto era l'atteggiamento più
affettuoso
in realtà i rapporti con l'esterno esistevano, ma erano gestiti
in termini abbastanza riservati dal gruppo dirigente della Facoltà:
le modalità con le quali venivano pubblicizzati i contratti di
ricerca e i rapporti con la Amministrazione Civica di Torino erano un
incredibile inviluppo di burocrazia e silenzi
6 i ricercatori e i gruppi di ricerca che operavano con l'esterno erano
assoggettati ad una serie di pesantissimi oneri: le modalità di
suddivisione dei proventi delle ricerche erano chiara incentivazione della
nullafacenza e forte punizione per chi cercava di operare che vedeva forti
aliquote dei proventi ridistribuite alla 'cassa comune'
7questo invito era letto come una minaccia e interpretato come premessa
per riacquistare autonomia operativa dalla cultura politica dominante
nel CDA
8 questa preoccupazione riscontra il fatto che l'accesso agli spazi di
ricerca era tutt'altro che facile con procedure assurde di pubblicizzazione
delle proposte e che le formule contrattuali erano perverse
9 molti professori universitari non si preoccupavano affatto di questi
problemi perchè operavano come consulenti e fare la ricerca nell'Università
era l'ultimo dei pensieri
10 a lungo il CDA del Politecnico si era divertito a distinguere varie
tipologie di ricerca (di base, applicata, di sviluppo....) cercando di
stabilire quale era legittimamente svolgibile all'interno del Politecnico,
sempre per la paura essere accusati di interesse privato dal costume delatorio
che la cellula del PCI aveva istruito nel Politecnico
11 il problema è lontano da soluzione ancora oggi
12 leggendo dopo più di dieci anni sono sorpreso dal linguaggio
prudente: i sostenitori della Università di massa notarono però
un sapore decisamente diverso dal consueto peana
13 il rituale massacro dei nostri laureati all'Esame di Stato disturbava
molto i sostenitori della didattica postsessantotto: anche i più
entusiasti quando facevano il servizio nella Commissione restavano traumatizzati
dal generale squallore culturale
14 era diventata una abitudine corrente perdere ore per discussioni di
bassa cucineria in CDF mentre i problemi di quadro didattico venivano
gestiti in riunioni di vertice
15 il cenno si riferisce alla moltiplicazione di 'commissioni' che aveva
oramai svuotato il CDF di funzioni e competenza: tutto arrivava predigerito
dalle commissioni e la discussione collegiale era in pratica annullata
Gli impegni e i principali problemi
della Facoltà di Architettura
nei prossimi anni
La Facoltà nel triennio di transizione
all'assetto 382
e nella fase di innesco del
nuovo Statuto
Lorenzo Matteoli
Luglio 1984
Gli impegni e i principali problemi della Facoltà di Architettura
nei prossimi anni.
Premessa
Due sono stati gli episodi significativi nella vita della nostra Facoltà,
degli ultimi tre anni: l'applicazione del DPR 382/80 (Riordinamento della
docenza) e l'elaborazione del nuovo Statuto a seguito del DPR 806/82.
Gli adempimenti, le scadenze, il dibattito, i confronti all'interno e
all'esterno, connessi con questi due importanti avvenimenti nella vita
dell'Università italiana, e delle Facoltà di Architettura
in particolare, hanno assorbito gran parte della capacità di elaborazione
e proposta dei docenti, ricercatori e studenti.
Nei prossimi anni dovremo verificare in modo più compiuto la effettiva
portata in termini di struttura organizzativa, di contenuti culturali
e sulla didattica, di queste due leggi e sarà questo il luogo più
importante di critica e di elaborazione propositiva.
La Facoltà, relativamente libera da scadenze pesanti ed impellenti
come quelle comportate dalla elaborazione dello Statuto, dalla revisione
del Manifesto degli studi e dalla ristrutturazione dei curricula, dalle
procedure di associazione e ridenominazione degli insegnamenti, potrà
finalmente riprendere la effettiva cura dei 'contenuti' della didattica
e rilanciare quella azione di ricerca che è indispensabile terreno
per l'aggiornamento e la vitalità dell'Istituto Universitario.
Il commento che si può fin d'ora fare è che i due dispositivi
di legge sono di grande portata potenziale: il pericolo è che questa
potenzialità venga annullata dalla gestione corrente e burocratica
o soffocata dalle condizioni di prassi nelle quali ci si trova ad operare
(carenze strutturali, edilizie, di organico, viscosità amministrativa,
etc.)
Restano ancora alcuni impegni connessi all'applicazione del DPR 382/80
ma, per quanto importanti, sono impegni che iniziano ad essere più
correnti. Sotto questo aspetto le scadenze più significative del
prossimo triennio sono quelle relative alla seconda tornata dei giudizi
di idoneità all'associazione, ed ai concorsi a cattedra di ruolo
ordinario e associato.
La Facoltà ha avuto dall'assestamento seguito al decreto Falcucci
due posti di ruolo ordinario e tre posti di ruolo associato che si andranno
ad aggiungere a quelli di ruolo ordinario vacanti per effetto di trasferimenti
più o meno recenti e di recenti uscite di ruolo. Al completamento
di queste scadenze e dei conseguenti movimenti di docenti l'organico nel
Corso di Laurea potrebbe aumentare di 31 unità (16 ordinari, 3
associati, 12 assistenti e ricercatori sotto concorso) se i ruoli previsti
dalla 382/80 per le varie categorie non risulteranno completi. Un aumento
del 40% circa rispetto alla attuale situazione di organico docente.
Il vantaggio per la didattica sarà effettivo solo se all'incremento
di organico corrisponderà un consolidamento dei contenuti programmatici
e un adeguamento della struttura edilizia e dei servizi infrastrutturali
indispensabili per mantenere, con l'elevato numero di iscritti, la caratteristica
'interattiva' dell'insegnamento che è una qualificante peculiarità
della nostra Facoltà.
Questa breve premessa indica, come categoria generale dominante per l'organizzazione
di molti dei problemi da affrontare, la qualità dell'offerta didattica.
E' questo l'obbiettivo nodale per il quale la Facoltà dovrà
svolgere una precisa azione di spinta propositiva esprimendo volontà
programmatiche e individuando supporti, luoghi, strumenti e responsabilità.
La qualità della offerta didattica è il risultato di una
azione complessa e diffusa, richiede un impegno continuo associato ad
iniziative puntuali: una organica azione nel campo della ricerca dove,
nell'ambito dei Dipartimenti, i docenti si formano, si aggiornano, pubblicano,
si verificano con l'esterno e con l'interno, è presupposto determinante,
come determinante è il consolidamento della struttura per indirizzi
del Corso di Laurea, insieme al razionale impiego di tutte le risorse
di organico con specifico riferimento alla categoria dei ricercatori.
Su questi aspetti: Dipartimenti, indirizzi, ricercatori, interazione con
l'esterno, innovazione strumentale, partecipazione, di connotazione non
omogenea e di livello diverso, ma tutti consistentemente determinanti
agli effetti della qualificazione dei contenuti didattici, conviene definire
una posizione più precisa.
I Dipartimenti
La ricerca dipende dai Dipartimenti e solo in modo mediato interessa il
Consiglio di Facoltà, è però il luogo fondamentale
di formazione e aggiornamento dei docenti e di contatto con la realtà
esterna territoriale, sociale e industriale: nel merito si deve riscontrare
il progressivo chiarimento, avvenuto con la applicazione del DPR 382/80,
del rapporto tra il Ministero e Università per quanto concerne
la erogazione e la distribuzione dei fondi di ricerca, chiarimento che
ha un preciso riscontro anche in sede locale.
Dopo anni di suddivisione burocratica dei fondi fra le due Facoltà
dell'Ateneo , la struttura dipartimentale sta innescando un atteggiamento
più critico: il recente episodio della Commissione Scientifica
chiesta dal Senato Accademico ai sensi del DPR 382/80, risolto in modo
affrettato e non soddisfacente, ha però avuto il merito di aprire
una linea di attenzione e di costringere l'Ateneo ad analisi più
complesse e meno settoriali della sua strategia complessiva di spesa e
investimento nella ricerca. In questo senso sarà necessario che
i Dipartimenti svolgano, con la massima presenza, i loro compiti valorizzando
il significato e le implicazioni della struttura dipartimentale 'per problemi',
che ha connotato le scelte a suo tempo fatte all'atto della loro costituzione
nella nostra Facoltà, e che è nota specifica e qualificante.
Gli Indirizzi
La organizzazione per Indirizzi è stato uno dei luoghi più
evidenti dove i cambiamenti rispetto al precedente assetto sono avvenuti:
la comunicazione interna si è innescata ed i suoi risultati è
sperabile si possano leggere in modo sempre più preciso nel futuro
sviluppo della didattica.
Mai prima di questo istituto (degli Indirizzi di Laurea) la verifica ed
il confronto fra docenti e programmi avevano avuto svolgimento così
intenso e luogo specificamente delegato.
Certo si può e si deve fare meglio: comunicare è una cultura
che richiede tempi per la sua formazione e terreno sul quale impostarsi.
La prima cosa da fare è istruire i luoghi e quindi essere presenti
e critici. La fase sperimentale attualmente in corso dovrà consentire
una soluzione più adeguata ai problemi di 'identità' e di
definizione di obbiettivi e scopi degli indirizzi, problemi questi che,
all'atto della applicazione del DPR 806 (nuovo Statuto della Facoltà
di Architettura), si sono rivelati particolarmente acuti per l'indirizzo
di 'progettazione architettonica' a causa della evidente, tautologica,
sovrapposizione con il Corso di Laurea in Architettura. La distribuzione
degli insegnamenti negli anni, attualmente specifica per ogni indirizzo,
ma non radicalmente diversa, potrebbe essere riveduta rendendo più
netta la distinzione fra preparazione generale e insegnamenti di indirizzo.
Questi e altri problemi dovranno trovare luogo di verifica nei Consigli
di Indirizzo che possono finalmente garantire quello spazio di dibattito
sui 'contenuti' che nel Consiglio di Facoltà oramai non può
svolgersi se non in termini di grande generalità.
Le ipotesi di coordinamento orizzontale e verticale, che attualmente sono
allo stadio di mera enunciazione e di prima incerta verifica pratica,
sono forse il modello iniziale di una didattica nella quale risolvere,
in modo consistente, organico e dinamicamente continuo, le molte proposte
emerse dalla esperienza delle Facoltà di Architettura e, più
in generale, dell'Università italiana nei passati quindici anni.
Dal punto di vista organizzativo si dovrà procedere alla definitiva
elaborazione del regolamento per la gestione degli indirizzi': elezione
dei direttori, formazione dei collegi e degli organismi rappresentativi.
Il problema è stato mantenuto aperto in attesa della ultima ratifica
da parte della Corte dei Conti dello Statuto, ma ora è di urgente
scadenza.
I ricercatori
Un particolare aspetto della qualificazione della didattica è quello
connesso con la definizione dello stato giuridico dei ricercatori: categoria
problematica nel disegno di università delineato dal DPR 382/80;
compiti e doveri incerti e approssimativamente definiti, responsabilità
totalmente dipendenti dalla personale interpretazione del ruolo, prospettive
di carriera quasi esclusivamente affidate al ricambio naturale degli organici
di docenza di prima e seconda fascia.
La potenzialità di offerta didattica e di ricerca della categoria
si scontra con una implicita resistenza delle responsabilità accademiche,
amministrative e politiche.
La carenza del quadro normativo per i ricercatori è una responsabilità
centrale: è indispensabile in sede locale agire per risolvere al
meglio il problema, fornendo ai ricercatori un contesto nel quale svolgere
ricerca e didattica e, in sede nazionale, è necessario sollecitare
la definizione dell'assetto istituzionale della categoria per risolvere
le possibilità di alibi e di evasioni.
Interazione con l'esterno
Per aggiornare le proprie conoscenze e il contenuto della didattica è
indispensabile confrontarsi con l'esterno, portare in Facoltà e
nei corsi esperienze e competenze di varia matrice e origine, integrare
l'insegnamento istituzionale con esperienze professionali e di ricerca
attinenti agli svariati campi nei quali la cultura del progetto di architettura
si svolge e si verifica, per la stessa ragione è necessario essere
presenti, all'esterno, nelle iniziative e nel dibattito culturale e professionale,
collegare la Facoltà con il contesto scientifico, tecnico, politico
e amministrativo a scala internazionale, nazionale e locale: questo settore
è molto legato alla ricerca e alla azione dei singoli, vincolato
da carenze strutturali dell'Ateneo e da uno specifico di Torino che non
è limitato all'Università e che si può, forse e con
prudenza, fare risalire alla forte connotazione monoculturale automobilistica
della industria e della ricerca che per molti anni ha caratterizzato la
città e nei confronti della quale la Facoltà è rimasta
quasi impermeabile.
I corsi a contratto secondo l'articolo 25 del DPR 382/80 sono uno strumento
che può essere usato meglio di quanto non si sia fatto finora:
dare a questi corsi un campo più centrale, un calendario di Facoltà
e non di corso specifico scegliere per i corsi operatori di forte qualifica
o impostarli su problemi di forte emergenza possono essere modi con i
quali gradualmente sfruttare al meglio il dispositivo dell'art. 25. In
questo senso va richiamata l'attenzione dei Dipartimenti e degli Indirizzi
che possono informare con maggiore vigore scelte e proposte.
Sempre in quest'area va consolidata l'azione propositiva e di servizio
per assicurare la presenza in Facoltà di contributi estemporanei
(conferenze, convegni, mostre e seminari, dibattiti e cicli di lezioni):
è oggi possibile sfruttare per queste attività il Centro
Interdipartimentale di Documentazione, nel cui mandato è stato
a suo tempo inserito questo compito.
Le qualificate iniziative di singoli devono trovare spazio anche su scala
più specifica, sempre con l'informazione e l'approvazione del CDF,
ma senza aumentare la viscosità che già si incontra nell'operare
in un contesto che rischia l'asfissia da eccesso di controllo burocratico.
L'innovazione strumentale.
Un'altra direzione nella quale si può agire per migliorare l'offerta
didattica è quella della innovazione strumentale.
La didattica interattiva, il rapporto diretto tra docente e studente,
non può certo essere surrogato, ma può essere relativamente
evocato, nell'università del grande numero, solo con nuove tecnologie
di comunicazione e di supporto dell'informazione. Il ritardo con il quale
le scuole di architettura, e fra queste la nostra, affrontano il campo
della innovazione degli strumenti per la didattica è gravissimo
e non sono purtroppo disponibili ricette per recuperi facili e a breve
termine: anche se avessimo a disposizione molto denaro ci mancano quadri
e competenze per un innesco veloce. L'ipotesi di lavoro che deve essere
fatta in questo campo è prima di tutto quella della sua 'ineludibilità':
è troppo potente lo strumento di elaborazione elettronica di dati
e immagini per poter essere ignorato in qualunque momento del processo
progettuale.
Seconda ipotesi da tenere presente, nella predisposizione di programmi
e strategie, è quella della difficoltà di spendere in tecnologie
e attrezzature senza una parallela e consistente spesa in competenze e
in cultura e senza la contemporanea disponibilità di organico.
L'informatica, la telematica e in genere il campo dell'EDP (elaborazione
elettronica dei dati) devono essere impiegati nel progetto e nella sua
didattica per alleggerire i compiti di routine e di elaborazione manuale
e per aumentare la disponibilità di pensiero e di tempo sulla concezione,
gli strumenti per la creazione di immagini e per il loro trattamento interattivo
potranno consentire, nell'arco dei prossimi dieci anni, una qualità
didattica superiore a quella possibile in termini tradizionali anche nell'università
del grande numero.
In linea strategica l'accesso del Corso di Laurea in Architettura a questi
strumenti si deve impostare subito: attrezzandosi con pazienza e con determinazione
per superare le enormi incertezze, i problemi specifici e i tempi frustranti
della lentissima fase che ci separa dai primi significativi risultati.
Questa strategia non si deve impostare sull'assunto mitico della onnipotenza
elettronica e informatica, ma sulla forza di uno strumento che può
moltiplicare enormemente l'esercizio critico e concettuale.
Disponibilità ad apprendere e attenzione a linguaggi per noi impervii
sono indispensabili strumenti: investire con prudenza, ma investire subito
perché questo è un campo dove quasi esclusivamente facendo
si impara.
L'Ateneo sta acquistando, anche in risposta ad una istanza avanzata dalla
Facoltà tre anni or sono, una attrezzatura per l'insegnamento della
informatica di base ed è prevista un'aula di trenta posti (attrezzati)
che sarà pronta per il prossimo anno accademico nel Castello del
Valentino. La Facoltà nel triennio di transizione all'assetto 382
e nella fase di innesco del nuovo statuto.1981/1982
La situazione della Facoltà all'inizio dell'anno accademico 81/82
può essere così ricordata:
la Facoltà con l'Ateneo stava riorganizzando la sua struttura
per Dipartimenti secondo le indicazioni del DPR 382/80;
gran parte della docenza era alla vigilia della prima tornata di associazione;
si attendeva la approvazione del decreto di riordinamento del Corso
di Laurea alla conclusione di un iter che aveva impegnato, dalla sua impostazione
ideologica e culturale alla sua procedura in sede istruttoria legislativa,
il Ministero e le sedi per oltre dieci anni;
gli studenti privi di indirizzo programmatico, subivano il disagio dell'incertezza
ministeriale e di quella, conseguente, della Facoltà;
il carico didattico e l'affollamento delle aule non contribuivano alla
serenità della complessa situazione;
La Facoltà impegno l'anno 81/82 nei seguenti adempimenti:
definizione e completamento dell'assetto dipartimentale;
elaborazione e stesura dello Statuto ai sensi del DPR in corso di approvazione;
revisione dei 4000 piani di studio secondo le delibere di anticipazione
del nuovo ordinamento votate dal Consiglio di Facoltà;
predisposizione della Guida ai Programmi per l'Anno Accademico 82/83
Il Consiglio di Facoltà spingeva la formazione degli 'indirizzi'
e dei relativi consigli, allo scopo di consentire una gestione della Facoltà
basata sui seguenti organismi e collegi:
Consiglio di Facoltà
Consigli di Indirizzo
Comitato di coordinamento interindirizzo
Dipartimenti e relativi organismi di gestione
Questo organigramma era in pratica operante alla fine dell'Anno Accademico
81/82 e relativamente consolidato per l'Anno Accademico 82/83.
Dopo il primo anno, il compito di aggiornamento dei piani di studio veniva
svolto da una commissione Piani di Studio formata attraverso gli Indirizzi,
adeguata nel numero di docenti e, nei limiti di incertezza normativa allora
correnti, dotata di criteri relativamente definiti dal CDF. Il problema
era reso difficile dall'anticipo con il quale la Facoltà aveva
assunto il modello didattico che il Ministero, sulla base della proposta
del CUN, avrebbe dovuto decretare fin dal 1980.
1982/1983
Il secondo Anno Accademico, al quale la Facoltà arrivava con programmi
rinnovati e con una normativa più precisa, strutturata sul dispositivo
del nuovo Statuto, ma nell'ambito della legge vigente (la 995/69), venne
impegnato dall'episodio più grave del triennio: la mancata approvazione
del DPR relativo al riordinamento del Corso di Laurea in architettura
impediva di gestire l'adeguamento del numero di annualità, anomalo
nella nostra sede rispetto ai dispositivi di legge in vigore, in modo
simultaneo al passaggio al nuovo assetto.
Era necessario procedere all'aggiornamento a 28 annualità di tutti
i curricula in corso con la sola eccezione (negoziata con il Ministero)
degli studenti del quinto anno.
Dopo una fase di lacerazione e di scontro, resa più difficile dalla
comprensibile opposizione degli studenti e da qualche posizione strumentale,
la Facoltà trovò unità e risposte adeguate alla gestione
della transizione.
Il problema impegnava la capacità propositiva della Facoltà
per tutto l'Anno Accademico che ne risultò fortemente sacrificato.
Il lavoro di aggiornamento dei piani di studio, intrinsecamente difficile
per le doppie denominazioni, veniva appesantito dalla gestione del passaggio
da 24 a 28 annualità.
Si concludeva in questo anno la prima tornata di associazione, l'organico
dei docenti di ruolo passava da 25 (ordinari e straordinari) a 79 (ordinari,
straordinari, associati).
1983/1984
Il terzo anno accademico (in corso alla data di stesura del documento)
veniva affrontato in condizioni di maggiore chiarezza: il DPR 806 approvato
nel settembre 1982 aveva consentito alla Facoltà di procedere più
serenamente con le disposizioni del nuovo Statuto (approvato dal Ministero
il 28/10/83) mettendo a punto una normativa di transizione completa e
definita per tutti gli anni di corso grazie al lavoro degli indirizzi,
dei loro Consigli e del Comitato di coordinamento interindirizzo.
Lo Statuto approvato dal Ministero della Pubblica Istruzione il 28/10/1983
dopo il parere del CUN e adottato dalla Facoltà con esplicita delibera
del 12 novembre 83, consentiva di definire i dettagli organizzativi dei
curricula e la completa ristrutturazione dei codici di corso: di nuovo
la commissione piani di studio si è trovata a dover risolvere i
problemi di adeguamento.
Sia la approvazione da parte del CUN che quella Ministeriale, implicavano
vicende complesse, non sempre di facile lettura dalla nostra sede che,
unica fra tutte le Facoltà di Architettura italiane, aveva anticipato
l'assetto normativo del DPR 806, nel rispetto della legge vigente, fin
dal 1981 e si trovava quindi particolarmente esposta alla tortuosità
dell'iter burocratico e amministrativo di approvazione dello Statuto.
Con la delibera di inquadramento del 3 febbraio 1984 la Facoltà
di Architettura di Torino chiude un capitolo importante degli adempimenti
connessi con l'adozione del nuovo Statuto: tutti i docenti sono collocati
sugli insegnamenti di competenza a partire dall'anno accademico 83/84
(1° novembre, 1983).
I rapporti con l'Ateneo e con il Consiglio di Amministrazione.
Alcune acquisizioni molto importanti testimoniano il buon rapporto che
si è sviluppato nel corso dei tre anni tra la Facoltà e
l'Ateneo e, nello stesso tempo, sono emblematiche delle difficoltà
che si devono superare per portare i progetti e le idee sul piano della
prassi.
Molte di queste difficoltà dipendono da una logica di funzionamento
relativamente rigida del CDA e dalla tradizionale limitata possibilità
di autoprogettazione dell'Ateneo e della Facoltà:
nuova sede per la biblioteca centrale
Progettata da molti anni e portata a termine nel 1981 ha consentito nel
1982 il trasferimento: si pongono già ora i problemi per le future
espansioni data la estrema vitalità di questa istituzione e la
continua crescita della sua importanza per la ricerca e per la didattica
del Corso di Laurea.
biblioteche di settore
Sono state approvate due biblioteche di settore con sede al Castello:
una di Storia presso il Dipartimento Casa Città e una Territorio/Ambiente
coordinata fra i Dipartimenti Territorio e Scienze e Tecniche per i processi
di insediamento.
Mentre quest'ultima verrà insediata nell'ala ottocentesca senza
particolari problemi edilizi, quella di Storia che deve essere collocata
nei locali di Casa Città al primo piano dell'ala sud del Castello
(ex aula dei tecnigrafi), ha implicato la soluzione di delicati problemi
connessi con il consolidamento della struttura portante orizzontale.
area 'laboratorio' del Castello
Il processo di aggregazione dipartimentale ha provocato la disaggregazione
dell'Istituto di Scienza delle Costruzioni: le macchine e le attrezzature
sperimentali a suo tempo in dotazione a questo Istituto sono state in
parte mantenute al Castello e raccolte in una area che potrà dare
luogo in futuro ad un centro interdipartimentale per il servizio di sperimentazione
e prove su materiali e componenti e prove sulle condizioni ambientali
fatte nella specifica ottica della informazione del progetto. Il trasferimento
delle attrezzature ha consentito l'inizio dei lavori di ristrutturazione
dell'ala ottocentesca.
le aule prefabbricate
Proposte al CDA alla fine del primo anno accademico sono finalmente in
funzione: sotto un certo aspetto sono state una occasione perduta per
la Facoltà che avrebbe potuto esercitare in questo episodio la
sua competenza per progettare se stessa.
l'attrezzatura di calcolo e il collegamento con terminali dei 4 Dipartimenti
in 'locale' e con il CSI
Proposta al CDA fin dal 1981 e completata solo nel mese di febbraio di
quest'anno: la Facoltà ha dovuto accogliere una forte indicazione
della commissione appositamente incaricata dal CDA e acquisire una macchina
già in carico al SED (Servizio Elaborazione Dati del Politecnico)
e da questo servizio non utilizzata. La potenza per l'uso 'locale' è
decisamente insufficiente, fatto peraltro anticipato e ampiamente previsto,
ma che non venne ritenuto rilevante dalla commissione del CDA, e fin dalle
prime settimane la macchina è stata saturata.
Il centro di calcolo è quindi qualificato solo per il collegamento
con il CSI utilizzando il PDP 11/23 Digital come concentratore. Si deve
però riconoscere che l'impiego in 'locale', per quanto limitato,
ha già consentito alcune importanti esperienze di docenti, ricercatori
e studenti ed ha ampiamente dimostrato quanto questa iniziativa fosse
necessaria. La futura crescita delle attrezzature informatiche dei Dipartimenti
dovrà seguire logiche diverse con configurazioni di macchine di
media dimensione o con collegamenti a cluster o a ring di piccole macchine
assistite con memorie ausiliarie e, in futuro, con moduli in grado di
pilotare gli specifici pacchetti di software che interessano le varie
aree di ricerca.
La sostituzione del PDP 11/23 con un modulo espandibile potrebbe modificare
questa prospettiva. In questo senso si è istituito un collegamento
fra i Dipartimenti di Architettura.
l'attrezzatura di un aula con audiovisivi
Chiesta anche questa nel 1981 sui fondi per le attrezzature didattiche
dell'Ateneo, ottenuta e acquistata quest'anno, ha già dimostrato
la sua significativa potenzialità;
il recupero dell'ala ottocentesca
Progetto quasi decennale e impostato prima del riassetto dipartimentale
non è stato possibile aggiornarlo per non perdere l'occasione di
realizzarlo. I lavori saranno finiti nell'autunno e il nuovo spazio consentirà
di risolvere i problemi edilizi dei Dipartimenti Territorio e STPI.
Anche in questo caso la complessità delle procedure amministrative
e di licenza edilizia hanno implicato non pochi problemi. La soppalcatura
del vano, che non divide completamente il livello superiore da quello
inferiore comporterà notevoli difficoltà per organizzare
lo spazio interno dei diversi gruppi di ricerca e 'ateliers' in modo che
questi non si disturbino a vicenda. Le ipotesi iniziali in base alle quali
è stato redatto il progetto differiscono infatti rispetto alla
destinazione che nel corso degli anni si è dimostrata più
coerente con le esigenze della Facoltà.
Altre attività
La Facoltà ha espresso e promosso durante questo triennio una serie
di iniziative culturali e di generale sollecitazione dei rapporti interni
ed esterni: senza la iniziativa e la collaborazione fornita dai docenti,
dai ricercatori, e da molti studenti, nessuna di queste manifestazioni
si sarebbe potuta realizzare.
Tutte le occasioni sono state luogo di confronto e di esperienza oltre
che di significativo contatto con enti e operatori esterni.
Elementi per una analisi della situazione didattica
e
delle tendenze evolutive in atto
nel Corso di Laurea in Architettura
del Politecnico di Torino
Torino, 6 gennaio 1986
L'apprezzamento per la dialettica quotidiana.
Gli studenti della Facoltà contestano il nuovo ordinamento del
Corso di Laurea, ritengono che l'organizzazione per indirizzi sia riduttiva
rispetto alla complessità del mondo reale e astratta rispetto alle
effettive esigenze del mercato del lavoro. Sostengono che i curricula
consentiti e dettati dal nuovo Statuto, che la Facoltà ha assunto
per effetto della legge 806/83, siano qualifiche nominali e non sostanziali
del corso di laurea e indicative di specializzazioni professionali senza
effettivo riscontro nella prassi.
Da questi argomenti di fondo si articolano una serie di altre richieste
di ordine più specifico e di connotazione normativa e logistica
particolare (abrogazione delle norme per la distribuzione del carico didattico
sui corsi, istituzione di corsi serali, risoluzione di alcune contraddizioni
organizzative nei piani di studio di indirizzo).
Nel riconoscere alla attuale struttura del Corso di Laurea per indirizzi
una serie di problemi aperti e non risolti dal DPR 806/863, è opportuno
richiamare l'attenzione e la responsabilità della Facoltà
sia sui rischi che possono derivare da semplificazioni eccessive e da
analisi imprecise, sia su quelli della disattenzione e dell'inerzia.
Credo che molte delle critiche espresse dagli studenti siano frutto di
una lettura incompleta degli attuali contenuti del Corso di Laurea e dei
suoi modelli di uso, lettura non facile, che non dovrebbe però
sfuggire ad una analisi più attenta.
La posizione degli studenti richiede una risposta non limitata alla grammaticalità
di normative sui piani di studio o di loro interpretazioni, anche se questa
fosse sufficiente: ritengo che nella Facoltà, oggi, ci siano argomenti
più validi e sostanziali per riscontrare l'obiezione dei suoi utenti.
Questo documento vuole verificare la situazione del dibattito e del confronto
interno alla Facoltà sui problemi della didattica, sugli obbiettivi
e sugli strumenti dell'insegnamento nel campo della architettura, sulla
evoluzione del Corso di Laurea, sui rapporti fra formazione universitaria
e mercato del lavoro, sui rapporti tra discipline, insegnamenti, indirizzo
e Corso.
Si tratta del dibattito istituzionale, corrente e continuo che si svolge,
nella Facoltà e fuori, in una pluralità diffusa di sedi,
di modi e di occasioni, che difficilmente può trovare uno spazio
e un luogo collettivo e corale, sia per motivi logistici che per motivi
ideologici. La continuità logica e temporale che connota la dialettica
diffusa è un elemento problematico per una sua efficace comunicazione.
I luoghi del dibattito continuo e diffuso sono i corsi, i seminari, i
corsi coordinati, le tesi di laurea, dove i docenti con gli allievi esprimono,
svolgono, verificano le rispettive poetiche, grammatiche e sintassi e
si collocano con la loro storia nella storia della Facoltà e nel
dibattito corrente, rilevante per la disciplina, e riferito a contesti
più ampi. Le cadenze temporali di questo lavoro sono quelle, poco
eludibili, dell'esperimento didattico: un corso deve essere svolto per
dare luogo all'esperienza con la quale si istruisce il suo aggiornamento.
Analogamente un seminario, un lavoro in comune, devono arrivare alla maturazione
che ne consente la valutazione, la revisione e l'aggiornamento. Un lavoro
di tesi, come un lavoro di ricerca, si conclude, in genere, con la chiara
percezione che dovremmo ricominciare da capo utilizzando le cose apprese......è
alla conclusione di ogni progetto che si coglie la nostalgia per le alternative
non percorse. La tessitura dialettica diffusa non è facile da percepire:
richiede documentazione, attenzione, sensibilità e memoria, ma
è sicuramente attiva, valida e vitale come dimostrano le modifiche
di contenuto, metodo e struttura che il Corso di Laurea accoglie in modo
continuo, riscontrando e, spesso, anticipando posizioni critiche e culturali
del contesto nazionale e internazionale.
La dialettica che chiamo continua e diffusa emerge in modo significativo
ed esplicito in alcune occasioni sia interne alla Facoltà che esterne:
forse conviene ricordare alcuni avvenimenti che ne sono stati segnali
negli anni recenti.
I cicli di conferenze che la Facoltà e l'Ordine degli Architetti
hanno organizzato nell'83/84 e nell'84/85, sono stati i più significativi
episodi esterni, nei quali la Facoltà era criticamente attiva e
presente.
I "discorsi sul progetto" ciclo organizzato da Piero Derossi
nell'81/82 portò in Facoltà gli elementi allora più
attuali del dibattito sulla architettura e sui problemi di formazione
didattica.
I corsi a contratto che la Facoltà dal 1981 regolarmente accoglie
hanno portato in Facoltà 40 esperienze critiche, italiane, europee
ed americane su una molteplicità di argomenti rilevanti per la
formazione culturale degli architetti e sulla sua evoluzione specifica.
Il seminario organizzato dall'Indirizzo Tecnologico nell'anno 83/84, il
seminario sul progetto del Dipartimento di Progettazione Architettonica,
la serie continua di dibattiti e seminari organizzati dal Dipartimento
Territorio e dall'Indirizzo di Urbanistica sui problemi specifici della
strumentazione per la gestione e il governo del territorio hanno visto
ospiti della Facoltà relatori e referenti di valore nazionale e
internazionale.
Modesto come partecipazione di studenti (gli stessi che si lamentano ?),
ma molto significativo per i contributi, il seminario sulla didattica
della progettazione organizzato nel 1985 in Facoltà. Non elenco
una molteplicità di altre iniziative (conferenze, viaggi di studio,
mostre, seminari, incontri con altre sedi,etc.) promosse da docenti singoli
e da gruppi di docenti, dai Dipartimenti, dal CID e dalla presidenza,
che sono state significativi luoghi di comunicazione e di espressione
di quel lavoro continuo e diffuso di verifica dell'Istituto con i suoi
obbiettivi e con gli strumenti per raggiungerli: si tratta di uno spessore
di lavoro critico che continua a riversare le sue conseguenze sui corsi,
sui contenuti, sulla struttura stessa della didattica, che è bene
non ignorare. La Facoltà, attraverso questo lavoro è collegata
sul piano culturale e scientifico sia a livello nazionale che a livello
internazionale in termini non schematizzabili e che non possono, comunque,
essere semplificati, nè ignorati.
Nel Consiglio di Facoltà si svolse negli anni dal 1978 al 1983
in termini serrati un dibattito sul nuovo Statuto e sulla organizzazione
del Corso di Laurea per Indirizzi, dibattito che si espresse in molti
documenti di lavoro e risultò nella formulazione e nella seguente
adozione dello Statuto. Il dibattito e il lavoro di analisi e critica
è proseguito dopo l'adozione dello Statuto nei Consigli di Indirizzo.
Ho citato episodi relativamente recenti: non si dimentichi che la vita
della Facoltà è stata da sempre connotata da forte interazione
con il contesto alle diverse scale, in modo diffuso, articolato e continuo.
Da sempre a questa attività dialettica specifica è mancato
un luogo di verifica complessiva: per la noia dei luoghi comuni, per il
naturale pudore che è caratteristico degli operatori "creativi",
per la frustrazione nei confronti degli eccessi di verbalità che
spesso connotano le liturgie assembleari. Gli episodi dirompenti del 1968
e la didattica degli anni 70 possono essere inquadrati come fasi eccezionali
di questa dialettica continua. La ricerca istituzionale, e quella condotta
nell'ambito di contratti e convenzioni, sono altre occasioni nelle quali
la didattica trova riscontro applicativo, critica e aggiornamento continuo
con la realtà esterna.
Il processo di verifica e aggiornamento non si svolge sempre con quella
rapidità ed efficacia che tutti desideriamo: gli Istituti e le
organizzazioni burocratiche sono organismi soggetti a fasi di riflessione
e di relativa stanchezza dalle quali devono essere richiamati. Non sempre,
d'altra parte, processi evolutivi e adattivi rapidi e imposti sono positivi:
i limiti di elasticità dei sistemi vanno sollecitati senza rottura,
e ciò per evitare il rischio di reazioni fortemente involutive.
Cogliere in modo sintetico ed essenziale il significato di tutta questa
elaborazione agli effetti dell'aggiornamento strutturale e di contenuto
dei corsi specifici e del Corso di Laurea nel complesso, non è
semplice: lo studio di sistematizzazione storica della didattica per la
formazione degli architetti potrebbe essere un utile esercizio da svolgere
e non di poco impegno.
Proposta per una analisi delle tendenze emergenti.
In termini molto ridotti e nell'economia di questo documento di lavoro,
può essere utile tentare di delineare alcune delle tendenze più
significative accolte e svolte dal corso di laurea a Torino avendo in
mente gli ultimi cinque anni e tenendo presente il quadro degli ultimi
venti. Dalle tendenze accolte e in fase di svolgimento si potranno avere
sensazioni sui possibili futuri sviluppi della didattica per la formazione
degli architetti. Scelgo, per organizzare questa analisi, quattro rapporti
fra la didattica e il Corso di Laurea che ritengo particolarmente significativi:
(a) il rapporto con la storia
(b) il rapporto con le tecnologie
(c) il rapporto con la scienza delle costruzioni
(d) il rapporto con le discipline socioeconomiche
Di seguito per ognuno di questi rapporti esprimo, in termini molto concisi,
una mia valutazione specifica; per le altre aree svolgo solo qualche generica
citazione.
La storia
La storia dell'Architettura era una volta un elemento della cultura generale
di un architetto: indispensabile e fondamentale, ma sempre elemento di
complemento culturale e conoscitivo. Nel Corso di Laurea, come si è
venuto formando negli ultimi dieci anni, per effetto di spinte complesse
e non solo interne alla Facoltà, la storia è divenuta uno
strumento progettuale, assumendo, per questo cambiamento profondo, caratteri
e connotazioni didattiche sostanzialmente diversi, nuovi e attualmente
ancora in fase di definizione sia strumentale che disciplinare. La storia
è sempre stata momento fondamentale di differenza e di specificità
del corso di laurea in architettura: per decenni è stata l'unica
disciplina che introduceva un elemento critico e culturale diverso rispetto
ad un corso di laurea in ingegneria civile. Nel Corso di Laurea attuale
la storia ha assunto una ulteriore responsabilità, responsabilità
che ho definito progettuale e che si pone come l'elemento dominante di
tutti i cambiamenti avvenuti nell'ultimo decennio e specificamente, negli
ultimi 5 anni.
Ritengo che questo sia il riflesso di una tendenza culturale assai più
ampia dello specifico del nostro Corso di Laurea: per questa tendenza,
a causa della nostra appartenenza ad un Politecnico, registriamo un certo
ritardo rispetto ad altre sedi.
Il rapporto con il Corso di Laurea delle discipline storiche è
quindi passato da una funzione complementare ad una funzione progettuale
operativa: la piena espressione delle implicazioni didattiche di questo
cambiamento è attualmente in emergenza e, per me, difficile da
qualificare in modo più specifico. E' certo la tendenza emergente
più importante e significativa e quella che sta determinando le
più forti conseguenze sulla struttura complessiva della formazione
degli architetti.
Le tecnologie
Dopo un tentativo di unificazione (negli anni 60) degli insegnamenti tecnologici
(Elementi Costruttivi e Chimica generale e applicata) sotto il titolo
di "Tecnologia della Architettura", tentativo che ha comportato,
per la nostra Facoltà, non indifferenti problemi di ambiguità,
oggi sono di nuovo distinti gli insegnamenti di Tecnologia dei Materiali
da Costruzione e di Tecnologia dell'Architettura. Quest'ultima disciplina
ha espresso due piani di svolgimento e di elaborazione didattica: quello
della tecnologia concettuale (soft technology) e quello della tecnologia
materiale (hard technology). Il primo studia gli strumenti concettuali
e di metodo per il controllo dei processi di progettazione e produzione
dei beni edilizi e di modifica ambientale, il secondo studia gli strumenti
conoscitivi e operativi per la espressione delle scelte progettuali e
per la esecuzione degli interventi insediativi.
L'evoluzione del campo disciplinare della Tecnologia dell'Architettura
è stato luogo di profonda innovazione nella didattica della progettazione
architettonica: il rapporto tra progetto e suoi strumenti (concettuali
e materiali) come nodo di elaborazione critica e creativa è ancora
oggi momento vitale e di forte spinta potenziale. Il dibattito in questa
area ha come riferimento fondamentale il lavoro didattico e di ricerca
del prof. G. Ciribini e la nostra Facoltà ha svolto, per questo
dibattito, un ruolo di guida non solo in campo nazionale. Dalla definizione
della tecnologia concettuale sono derivati gli insegnamenti delle tecnologie
appropriate e la filosofia della "adeguatezza" che sono connotazioni
originali della Facoltà di Torino.
La Tecnologia dell'Architettura, che con la didattica degli Elementi Costruttivi
aveva una connotazione relativamente grammaticale, è divenuta una
struttura sintattica della progettazione ed ha originato programmi disciplinari
di forte contenuto innovativo agendo criticamente sulla formazione complessiva
degli architetti e consentendo un inquadramento generalmente più
corretto di tutti i rapporti fra le discipline dette una volta "propedeutiche"
e il corpo progettuale e compositivo del Corso di Laurea.
La fase evolutiva di quest'area non è esaurita e si sta consolidando
con proposte di nuova specificità portate anche dal nuovo Statuto
come, ad esempio, quelle consentite dalla accensione del corso di "Cultura
Tecnologica della Progettazione".
Sempre come linea potenziale emergente va indicato il campo della tecnologia
ambientale che dovrebbe rappresentare l'anello di collegamento della tecnologia
con i problemi e la didattica della gestione del territorio.
La scienza delle costruzioni
Nella cultura della formazione progettuale degli anni 50 e 60 le discipline
"strutturali" avevano una connotazione esclusivamente utilitaria.
La "firmitas" di Vitruvio era una categoria tollerata in quanto
necessaria e non molto di più. Il Corso di Laurea in Architettura
ha sempre sofferto, e ancora oggi soffre, di un rapporto involuto con
questo campo disciplinare: un amore non ricambiato, una potenzialità
non espressa. I docenti che insegnano materie strutturali nelle Facoltà
di Architettura sono sacrificati in sede nazionale: è una considerazione
obbiettiva e non vuole essere polemica. Il salto qualitativo desideratissimo,
e in tutte le Facoltà già anticipato, che dovrebbe portare
anche la sensibilità strutturale al livello di "strumento
progettuale", non è ancora maturato nel dibattito nazionale:
un dibattito che fa fatica a recepire indicazioni addirittura leggendarie
nella storia del costruire.
E' auspicabile che in questo settore la strumentazione di calcolo automatico
consenta di accelerare una evoluzione che la obbiettiva pesantezza del
calcolo tradizionale ha fortemente ritardato: in questo senso la Facoltà
sta facendo sforzi non indifferenti per darsi strumenti e assistenze adeguate
e in questo senso sono stati utilizzati sia i corsi a contratto ex articolo
25 del DPR 382/80 che i contratti previsti dall'art. 26 della stessa legge.
Non senza difficoltà.
Il campo disciplinare tende dunque a questa maturazione, la docenza del
Corso di Laurea di Torino insieme a quella delle altre sedi italiane,
ne anticipa i tempi: non sempre con la necessaria comprensione da parte
delle responsabilità accademiche nazionali di questo settore (il
riferimento è al massacro dei candidati provenienti dalle Facoltà
di Architettura che venne fatto nell'ultimo concorso per posti di prima
fascia).
L'offerta didattica dell'Area della Scienza delle Costruzioni ha riscontrato,
quest'anno, due linee di specifica esigenza segnalate dal campo professionale:
quella relativa alla competenza nel settore della geotecnica e quella
relativa al consolidamento e adattamento degli edifici.
Le discipline socioeconomiche
Area disciplinare con offerta nulla o esigua nel curriculum del Corso
di Laurea degli anni 50 e 60, quando era rappresentata solo dall'insegnamento,
molto tradizionale, di Estimo ed Etica Professionale, la Sociologia Urbana
è stata introdotta nella Facoltà di Architettura negli anni
60 e, con l'adozione del nuovo Statuto, è divenuta nell'83, per
la Facoltà di Torino, una delle materie caratterizzanti il Corso
di Laurea.
La Facoltà ha inoltre completato la sua offerta didattica con un
insegnamento di Geografia Urbana e Regionale: disciplina che, fino a due
anni or sono, gli studenti erano costretti a frequentare fuori dal Politecnico
e che è indispensabile nella formazione delle competenze necessarie
alla gestione del territorio, oltre che base fondamentale nella cultura
generale di qualunque professionista della progettazione.
L'area socioeconomica si arricchirà ancora, al completamento della
attuale fase dei concorsi nazionali, di un insegnamento di antropologia
culturale. Le intenzioni, per i successivi sviluppi, sono di rafforzare
questa area, con un insegnamento di carattere classicamente economico.
Questo settore è quello nel quale si sono verificati i cambiamenti
più radicali del curriculum di studi negli ultimi anni e che, per
la spinta dell'Indirizzo Urbanistico, avrà nel futuro a breve termine
ulteriori sviluppi e innovazioni. Rispetto al curriculum degli anni 60,
in questa area la cultura del progetto architettonico ha spinto e subìto
una drastica innovazione: come già si è verificato per l'area
delle discipline storiche, l'analisi sociologica e la critica economica
diventeranno strumenti progettuali indispensabili.
Mi pare questa la tendenza più significativa in emergenza, non
ancora espressa compiutamente, ma precisamente indicata dalla evoluzione
degli ultimi dieci anni del nostro Corso di Laurea.
Altre aree
Altri rapporti fra il Corso di Laurea e aree disciplinari hanno subito
significativa evoluzione negli ultimi anni, ricordo brevemente l'attenzione
per la integrazione ambientale, edilizia e costruttiva che ha governato
l'aggiornamento dell'insegnamento della Fisica Tecnica, la specificità
sui problemi di progettazione che ha preoccupato le matematiche, il completamento
concettuale e strumentale degli insegnamenti dell'Area della Rappresentazione
con l'attenzione per il rilievo percettivo e con il recupero delle applicazioni
di geometria come strumento espressivo e supporto fondamentale al linguaggio
dell'architetto.
Ognuno di questi settori meriterebbe una analisi approfondita che certamente
qualcuno potrà svolgere forse con maggiore informazione e competenza
della mia.
Tutte le aree hanno comunque visto, negli ultimi cinque anni, una dinamica
evolutiva e di innovazione continuamente trasferita dalla ricerca alla
didattica e ai suoi moduli.
Discussione
Le dinamiche evolutive rapidamente delineate e quelle semplicemente citate
dei rapporti fra aree disciplinari e corso di laurea si associano fra
di loro, si sovrappongono e interagiscono in modo complesso, si realizzano
nei lavori di tesi, nei seminari, nei corsi coordinati e nella semplice
evoluzione dei singoli corsi: la tendenza aggregata e complessiva non
è immediatamente percepibile e certamente oscura per le nostre
matricole e per molti studenti dei primi anni.
Una revisione accurata del complesso di manifestazioni che si svolgono
nel corso di laurea e a suo lato, l'ascolto non insofferente della presentazione
dei corsi, una attenta lettura dei lavori di tesi, forniscono però
un segnale chiaro e percepibile del modo complesso, diffuso, continuo
e spesso drammaticamente rapido con il quale la struttura della formazione
professionale degli architetti si aggiorna e si evolve. Le tesi eccezionali,
poche purtroppo, e quelle di buona e media qualificazione, dimostrano
che un Corso di Laurea evoluto, attuale e dinamico, esiste ed è
operante e che esistono molti studenti in grado di leggerlo e di praticarlo,
e dimostrano anche che molto meglio si può sempre fare.
La Storia struttura oggi la nostra didattica con una consistenza ben diversa
da quella che connotava il Corso di Laurea negli anni 60 e 70. Sulla struttura
della Storia la Tecnologia dell'Architettura aggancia il progetto e gli
studi sociali; la sensibilità che gli studenti acquisiscono con
le Istituzioni di Matematica, insieme alla informazione sui materiali,
alla Fisica Tecnica e alla Scienza delle Costruzioni concorrono alla visione
della complessità del processo progettuale e al suo controllo ,
le discipline della Rappresentazione educano l'occhio alla lettura e la
mano alla descrizione, nello spazio, delle prime intuizioni. La separazione
fra disegno architettonico e disegno della città è svolta
nel "continuum" istruito dalla concezione della città
per parti, legate da una strategia per la quale la Pianificazione del
Territorio, l'Urbanistica, e la Geografia stabiliscono le regole di inquadramento
generale nel grande gioco economicoambientale.
E' su questa struttura di sperimentazione dinamica ed evolutiva che la
Facoltà ha istruito, negli scorsi anni, l'organizzazione per Indirizzi
del Corso di Laurea, per la quale, da parte degli studenti, non c'è
stata molta comprensione e sulla quale si sono costruiti molti equivoci.
Gli Indirizzi non sono una specializzazione, non sono una riduzione culturale
della formazione, non sono una formula meramente burocratica e astratta.
Rappresentano in termini di organizzazione didattica le modalità
con le quali un percorso formativo alla professione di architetto può
essere strutturato e risultano da prassi già consolidate nella
Facoltà degli anni 70. Come ogni formalizzazione organizzativa
risentono di iniziale irrigidimento e richiedono messe a punto: la loro
negazione sarebbe limpidamente regressiva.
I Corsi stanno sperimentando, nei tempi propri di ogni sperimentazione
didattica, quale nuovo rapporto deve essere istruito per il collegamento
con i diversi Indirizzi: la partecipazione degli studenti alla messa a
punto della didattica non è priva di contenuti e di apprendimento,
a questo scopo devono però essere superati gli atteggiamenti di
rifiuto grezzo, che non sono giustificati nemmeno dalla relativa inefficienza
organizzativa della macchina dei Consigli di Indirizzo. Il modello risultante,
effettivo, dell'insegnamento risulta da una precisa, articolata interazione
tra la cultura utente, il servizio di docenza e il contesto economico
e sociale nel quale si lavora, del quale gli studenti sono componente
rilevante e non solo per il numero, come spesso si tende a sostenere.
Il singolo insegnamento universitario appare diverso e viene utilizzato
in modi profondamente diversi da studenti di varia provenienza e cultura:
la sua associazione con altri insegnamenti dà luogo ad ulteriore,
articolata complessificazione del messaggio.
A questo proposito, anche se la notazione è impopolare, si deve
notare che uno dei limiti che la Facoltà di Torino deve gestire
nella applicazione dello Statuto è quello del numero di insegnamenti
annuali: le altre sedi italiane che hanno per Statuto 30 insegnamenti
riescono a temperare e a smussare le rudezze del dispositivo statutario
meglio di quanto non sia possibile fare con un curriculum con 28 insegnamenti
annuali.
Lavorare per una precisa individuazione della "facoltà reale"
e collocare curricula, corsi, modi di svolgerli e modi di utilizzarli
rispetto agli obbiettivi delle molte ipotetiche "facoltà ideali"
mi sembra un buon programma di lavoro: il programma corrente e di continuo
impegno della Facoltà.
A valle della verifica svolta, che certamente è da ampliare e da
approfondire, questo è il dibattito che propongo di impostare e
condurre, senza liturgie, convegni, assemblee, manifestazioni per le quali
credo sia giustificata una certa diffidenza. E' meglio lavorare in modo
diffuso, attento allo specifico di ogni situazione, nella dimensione quotidiana
strategicamente informata, nei corsi, nei laboratori, nell'assistenza
agli studenti, nelle commissioni di tesi, nei Consigli di Indirizzo e
nel Consiglio di Corso di Laurea e di Facoltà.
Sono questi i luoghi delegati, nei quali si deve svolgere e nei quali
si è sempre svolto questo lavoro in termini più o meno smaglianti,
rapidi, leggibili ed efficaci. A questi luoghi e a questo lavoro è
però necessario prestare una maggiore e più critica attenzione.
I temi specifici per questo dibattito non mancano e in parte sono esposti
in questo documento: altri se ne possono proporre e di seguito ne elenco
alcuni, che non sono certamente nuovi per la Facoltà.
Argomenti di riflessione e dibattito
In quale modo le categorie delle "aree disciplinari", forte
innovazione del nuovo Statuto, forse assai più incisiva della organizzazione
per indirizzi, si sono correlate al Corso di Laurea e agli indirizzi stessi?
Per quali insegnamenti si può pensare ad una neutralità
rispetto all'indirizzo di laurea nel quale sono svolti e per quali invece
questa non è pensabile, accettabile o attuabile ?
Il modulo didattico è cambiato dal 60 ad oggi. Così come
è cambiato il modulo di utenza dell'insegnamento. Una analisi e
una critica, più ampie e meditate di quella evocata in questo documento,
dei cambiamenti avvenuti, o non avvenuti sono da condurre.
Il modulo didattico attuale era l'obbiettivo del lungo e tormentato dibattito
che formò la legge per il riordinamento del Corso di Laurea in
Architettura? Come potrebbe oggi essere ridefinito quell'obbiettivo, e
come potrebbero essere definiti gli scostamenti dal medesimo ?
Esiste, è mai esistita, una progressione dell'insegnamento progettuale?
In Facoltà ne viene praticata una, esplicitamente o implicitamente
? Ci sono modelli più sintetici di insegnamento (e di apprendimento)
rispetto alla simulazione progettuale ?
Il cambiamento del modulo didattico è avvenuto insieme ad una evoluzione
dell'insegnamento progettuale (struttura, progressione, sequenza, metodologia,
logica ...), o no?
Oltre al progetto di edifici, quali sono le molteplici professioni alle
quali noi diamo, o crediamo di dare accesso ? Il nostro corpo docente
dispone delle competenze disciplinari necessarie a queste ipotetiche nuove
e diverse professioni di architetto ? O non è proprio il progettare
edifici e il controllare la costruzione di edifici con la cultura della
storia, della sociologia, della geografia urbana e della tecnologia concettuale
e materiale, che costituisce la nuova specificità degli architetti
?
Fino a che punto può esistere questa nuova specificità fuori
dalla prassi del progettare edifici ?
La domanda di professionalità nella formazione è riduttiva
in termini culturali, o può comportare risposte didattiche avanzate?
Conclusione
La professionalità, il mercato del lavoro, l'Esame di Stato sono
gli argomenti conclusivi di questo documento e quelli sui quali vi è,
allo stato attuale, la maggiore incertezza conoscitiva. Ogni anno, di
fronte ai risultati dell'Esame di Stato (dove vengono bocciati in genere
dal 60% al l'80% dei nostri neolaureati), la Facoltà si rifugia
su una serie di intelligenti e acute osservazioni: non è l'Esame
di Stato che ci verifica, noi prepariamo per molte altre cose e non solo
per disegnare casette e scuolette, la cultura del progetto e la formazione
conferite dalla Facoltà non si possono esprimere in un "extempore"
di otto ore etc. etc.
Che l'Esame di Stato sia un istituto da riformare è un fatto sul
quale tutti sono d'accordo, ma chi è stato commissario o presidente
della commissione non può non avere, oltre a queste certezze, anche
altri acerbissimi dubbi. I risultati dell'Esame di Stato sono sicuramente
da rifiutare come categoria di vaglio del Corso di Laurea in Architettura,
ma il vuoto conoscitivo e culturale che l'Esame denuncia è preoccupante,
scomodo da analizzare anche per i più volenterosi difensori.
La Facoltà non conosce il mercato del lavoro attuale ed emergente:
non sono mai state effettuate indagini sistematiche per classificare i
percorsi postlaurea dei neoarchitetti. Varrebbe la pena di investire
una rispettabile cifra di denaro per acquisire questa conoscenza. Sappiamo
che una percentuale elevatissima di studenti nutre forti aspettative per
la libera professione di architetto, intesa questa nella forma agiografica
più tradizionale. Sappiamo anche che a questo tipo di professione
arriva una percentuale che non supera il 6% dei nostri laureati dopo un
periodo di tempo che difficilmente è inferiore ai 67 anni. Sappiamo
che la quota di PNL relativa all'edilizia è circa il 25%, ma che
in termini di domanda per la professione di architetto il dato è
pochissimo significativo perché solo lo 0,025% è l'aliquota
relativa ai servizi terziari per questo investimento ed una sua ancora
più modesta aliquota è quella relativa a servizi progettuali
delle libere professioni di architetto, ingegnere civile, geometra.
L'università italiana ad elevata partecipazione sociale è
un fenomeno anomalo, anche se si riportano dati fortemente controversi:
la correlazione con il mercato del lavoro del nostro prodotto si articola
in modi che sarebbe opportuno conoscere meglio senza l'alea della strumentalizzazione
politica (leggi: della demagogia).
La gestione del territorio e la gestione urbanistica potrebbero rispondere
molto meglio all'offerta di laureati architetti, se la loro domanda non
fosse filtrata e contenuta dai limiti che il Governo impone sulla assunzione
di personale, l'industria (non solo quella delle costruzioni) assorbe
una forte percentuale dei nostri laureati per compiti e funzioni diffusi
su una ampia gamma di conoscenze specifiche che richiedono tempi di apprendimento
e integrazione su competenze per le quali il Corso di Laurea non è
attrezzato e non ha la possibilità di attrezzarsi, la scuola è
una offerta di lavoro in fase di riduzione e sulla quale può contare
una quota minima di nuovi architetti.
Il settore terziario e dei servizi è in forte emergenza: le competenze
necessarie sono anche in questo caso molto ampie e specifiche e il Corso
di Laurea può solo servire come base culturale senza una immediata
praticabilità.
La Facoltà non può, d'altra parte, dilatarsi in modo eccessivo
per adattarsi a tutte le ipotesi di mercato del lavoro emergenti, senza
correre il rischio di allontanarsi dai suoi compiti istituzionali che
sono e rimangono quelli della professione di architetto. Il sospetto che
le nuove professioni possano comunque correlarsi alla fondamentale competenza
della evoluta capacità di "progettare edifici" è
un aspetto da considerare con attenzione e riguardo. Rischiando anche
in questo caso l'accusa di essere riduttivo (o di presumere troppo).
In questo settore almeno tre modi di operare professionalmente sono abbastanza
bene identificati: il modo di coloro che si occupano della gestione urbanistica
e del territorio, il modo di coloro che si occupano dei processi costruttivi,
il modo di coloro che si occupano dell'intervento sui tessuti esistenti:
tre accezioni modali della progettualità architettonica, articolate,
con forti interazioni e connotate da ampia mutualità, che difficilmente
si possono accusare di irrilevanza o inattualità.
Quelli del 68 e quelli dell'85
scritto per la rivista torinese 'Trend'
28 dicembre 1985
Lorenzo Matteoli
L'Italia si chiede ansiosamente chi siano e cosa vogliano 'i ragazzi dell'85'.
Il fantasma di un 1968 mai analizzato e ancora oggi poco compreso, rende
nervosi e la paura di un nuovo tunnel come quello del decennio che seguì,
è motivo di giusta preoccupazione.
L'attenzione della stampa per la protesta giovanile è trepidante:
ognuno teme di perdere la registrazione esatta della nuova scintilla storica,
giornali e televisioni inseguono belanti il mondo giovanile pronti a cogliere
(e, se necessario ad inventare) il primo slogan del Capanna modello 85,
e il primo vagito del risorto 'movimento'.
Tutti si affannano comunque a dire e a ripetere che 'quelli dell'85' sono
diversi da 'quelli del 68': seri, non inquinati dalla politica e dai partiti,
chiedono solo di studiare. Senza accorgersene, per contrasto, si lasciano
sfuggire il giudizio mai espresso sul 68. Analisi e comprensione a parte.
Pochi sanno se l'Italia del 1985 sia diversa da quella del 1968. Molti
ne dubitano.
I Provveditorati e i Presidi della scuola media osservano le 'autogestioni'
senza intervenire, Prefetti, Questori, Procuratori della Repubblica si
domandano (insieme ai massimi livelli dei rispettivi competenti Ministeri)
cosa fare: una 'autogestione' di liceo, o una 'occupazione' di Facoltà
possono ragionevolmente configurarsi come 'interruzione di pubblico servizio'?
e quindi giustificare l'intervento della forza pubblica?
L'intervento della polizia potrebbe costituire innesco di reazioni più
o meno consulte e dare l'avvio ad una perversa spirale di incomprensioni
e sciocchezze burocratico/giovanili? dove si fermerebbe, oggi, questa
spirale?
Occupare e autogestire è un primo segno di violenza o espressione
di giovanile e impetuosa dialettica?
Tollerare è debolezza o saggezza? Il negoziato diminuisce il prestigio
degli Istituti oppure è indice di maturità ?
Io stesso mi pongo queste domande.
L'analisi del 1968 manca, come sono mancate a questo Paese le analisi
vere e non conformi o stereotipe di molti recenti e non recenti momenti
di contrapposizione nella sua storia.
A questa carenza non si può certo rimediare con poche cartelle
di 'colore' su un episodio relativamente marginale: è però
interessante ritrovare in questo tutti gli elementi della nostra cultura
storica, tutte le sovrastrutture ideologiche che impediscono in questo
Paese di impostare e condurre un discorso 'laico' e che, in definitiva
rendono disagevole la gestione dialettica dei contrasti che sono elemento
vitale e necessario per la costruttiva evoluzione dei rapporti tra utenze
e istituzioni.
Il primo elemento è quello della 'ruolizzazione': le parti vengono
inquadrate nei 'ruoli' che 'devono' avere, qualunque cosa dicano o facciano
è riferita a questa etichetta e viene ascoltata nei modi che il
ruolo attribuito impone.
Ecco il quadro dei 'ruoli' che emerge leggendo i ritagli di stampa.
Gli studenti sono 'i buoni' della Commedia. Portatori di innovazione e
di cambiamento, vittime del burocratismo ebete e ottuso, si ribellano
'giustamente' a una situazione assurda della quale sono responsabili
solo ed esclusivamente le 'autorità accademiche'. Queste ultime
si dividono in professori 'illuminati', intelligenti e capaci , in genere
prevaricati e tenuti in sofferto silenzio dalla maggioranza dei docenti
che sono, sempre nel copione corrente, i 'baroni', esclusivamente dediti
al perseguimento di vantaggio personale e alla strumentalizzazione (a
fini di lucro personale) dell'Istituto Universitario, assenteisti e reazionari.
Il preside (socialista ed ex radicale) appartiene a questa parte e si
copre di ridicolo assumendo atteggiamenti grottescamente borbonici
per il puro gusto di esercitare la sua modesta aliquota di potere in termini
di gretta fiscalità.
La stampa, dispensatrice di obiettività e serenamente al di sopra
delle parti, giocherella con tutti e pretende di analizzare, comprendere
e spiegare la complessità e i problemi della situazione con una
telefonata di tre minuti e con un trafiletto di due cartelle.
Le rettifiche, richieste a norma di legge vengono, con qualche commento
di irrisione, furbescamente pubblicate nelle rubriche di colore locale
insieme alle lettere delle brave massaie.
Il copione è scontato: gli studenti si riuniscono in assemblea
ed esprimono una serie di richieste, le portano in Consiglio di Facoltà
dove i professori 'buoni' e illuminati vengono sopraffatti dalla maggioranza
bovina e reazionaria plagiata dal preside, gli studenti offesi e giustamente
irritati dal comportamento sordo e ottuso del Consiglio di Facoltà
occupano la sede e iniziano una intensa attività di elaborazione
critica in commissioni, comitati, gruppi di lavoro, 'attivi' e seminari,
più o meno permanenti e continui.
La stampa riferisce al pubblico ciò che i giornalisti ritengono
il pubblico voglia che gli venga riferito, stravolgendo problemi, richieste,
risposte, dichiarazioni, norme, regole e leggi: tutta roba che per capirla
va letta e magari un po' studiata e non c'è tempo prima della 'chiusura',
ammesso che ce ne sia la voglia e la disponibilità intellettuale.
Dopo qualche giorno di 'occupazione' il preside reazionario, viene preso
da motivata paura e 'molla' accogliendo tutte le richieste degli studenti.
La stampa riporta il trionfo della ragione e del buon senso. I buoni hanno
vinto, i cattivi hanno perso, la reazione è stata travolta e la
storia può di nuovo avviarsi verso i suoi splendidi destini e progressivi.
I problemi sono risolti e tutti sono contenti.
Proverò ora a descrivere una versione meno limpida, meno grammaticale
degli avvenimenti, assai meno agevole da sintetizzare e noiosissima per
i lettori della stampa di regime conforme e per i telespettatori con capacità
di attenzione inferiore ai 15 secondi di tempo. Da rifiutare in blocco
come base letteraria e giornalistica.
La Facoltà di Architettura è sempre stata esposta alla aggressione
della contestazione studentesca per una serie di valide e positive ragioni.
L'insegnamento del progetto è insegnamento del dubbio sistematico
e del continuo rifiuto di ogni acquisizione.
Il rifiuto dell'acquisito è la condizione indispensabile per il
suo superamento: è quasi la definizione per contrasto del progettare.
La formazione alla progettazione avviene 'progettando': pochi ammettono
che vi sia altro modo o 'metodo', anche nella scuola detta di massa.
Questa ineffabilità della metodologia è, ovviamente, luogo
di grande disponibilità intellettuale e nello stesso tempo di
grande fragilità disciplinare.
Nella Facoltà non si insegnano 'certezze': si cerca con illuministico
pessimismo, di insegnare a gestire l'incertezza, a muoversi con competenza
e capacità critica nel cambiamento continuo e nell'incerto. Non
c' una soluzione corretta, ce ne sono moltissime, ammesso che sia noto
il problema. Non ci sono i 'criteri obbiettivi' che tanto piacciono agli
ingegneri e ai giornalisti, ci sono molte buone ragioni soggettive, le
basi 'scientifiche' della decisione ti conducono, ragionevolmente, solo
alla soglia di una vasta area di alternative più o meno valide.
La differenza tra un edificio che funziona e una bella architettura non
è diagrammabile, ma è mostruosamente evidente. Lo stesso
vale per una città.
La Facoltà insegna anche, o ci prova, che per muoversi criticamente
nell'incertezza è necessario un grande rigore, che tanto più
incerto e complesso è il contesto, tanto più elevata deve
essere la competenza e la intelligenza conoscitiva di chi lo vuole modificare
o integrare, tanto più sofisticati gli strumenti professionali,
tanto più sottile la critica e tanto più vigorosa la spinta
ideale.
La grammatica è indispensabile, ma scarsa, la sintassi vasta e
articolata, con molte contraddizioni, le case non sono poesie, ma ne partecipano
l'intuito. In più non devono crollare, devono funzionare e durare
nel tempo, costare poco ed essere belle.
Disponibilità per l'incertezza e rigore: sembrano concetti antinomici
e contraddittori, ed è questa contraddizione che ne rende difficile
la comunicazione, la comprensione e la pratica. Figuriamoci la didattica.
La prima categoria viene letta e intesa come alibi culturale per approssimazione
e pressapochismo, la seconda come tecnicismo ottuso, grammaticalità
e pedestre fiscalismo.
Questo equivoco è un luogo comune anche all'interno della Facoltà
e fra gli studenti: l'educazione certa e positiva della nostra scuola
media e, in particolare, quella degli Istituti Tecnici, non è una
base con la quale accogliere, senza grossi problemi, la filosofia del
progetto, come sopra ho tentato di descriverla schematicamente.
Il 'progetto' è inteso nelle Facoltà di Architettura come
valore di riferimento complessivo: non si dimentica che oggetto della
attività progettuale sono le case degli uomini, gli edifici e le
città. Alla confusione che dentro e fuori dalle Facoltà
si è fatta su questi due aspetti della didattica del progetto si
possono ricondurre molti dei problemi che, con regolare periodicità,
vengono riportati al dibattito attuale.
La disponibilità eclettica di un buon progettista viene assunta
in se come scopo dell'iter formativo: l'architetto è un operatore
intellettuale che si può occupare pressoché di tutto e che
può accedere ad un continuum indistinto di professioni, tutte,
nella fantasia popolare, ricche e prestigiose. Il fatto che per progettare
e costruire bene le case sia necessario sapere molte cose (sociologia,
storia, economia, antropologia, psicologia, energia, impianti termici,
scienza delle costruzioni, tecnologia etc.) è stato polarizzato
sul 'sapere molte cose' e separato dal 'progettare e costruire case'.
La forza e la grande originalità della progettualità architettonica
è invece intimamente collegata alla prassi: sapere associare idee
a materiali, forme e oggetti, saper disegnare e prefigurare gli oggetti,
saperne organizzare e controllare la realizzazione. Questo è il
mestiere di architetto, dove gli oggetti sono gli oggetti dell'abitare.
Questo è il mestiere che la Facoltà deve insegnare a fare:
se coloro che hanno questa laurea fanno, bene o male, anche altri mestieri,
ciò non significa che la Facoltà debba orientarsi ad insegnare
gli altri mestieri: nessun docente li conosce, né siamo attrezzati
per assumere organico diverso da quello che i programmi prevedono. Lo
Stato, dettaglio non trascurabile, si attende dalle Facoltà di
Architettura la formazione di architetti, così come si attende
dalle Facoltà di Medicina la formazione di medici.
Se 70 laureati in medicina su 100 facessero i venditori di cosmetici
questa non sarebbe una buona ragione per modificare i programmi della
Facoltà di Medicina e orientarla sulle tecniche per la commercializzazione
dei cosmetici. Avrei qualche dubbio su una Facoltà dai programmi
'market oriented'.
La chiarezza sugli scopi e sui metodi di un programma di insegnamento
universitario è un impegno preciso e dovuto da chi è responsabile
delle istituzioni.
Assumere con responsabilità un obbiettivo e uno scopo, limitare
il proprio programma di azione su una precisa di competenza, non è
rinuncia o rifiuto della evoluzione e della innovazione: vuol dire fare
il proprio mestiere. L'aggiornamento attento e continuo, culturale, tecnico,
tecnologico, strumentale dell'insegnamento e dei suoi programmi e metodi,
non è in discussione: è il debito elementare della nostra
professione di docenti.
Credo che questi siano i problemi sui quali confrontarsi, e sui quali
in Facoltà ci si confronta correntemente, svolgendo i corsi, negli
incontri su problemi e temi specifici, nel lavoro di tesi e nelle commissioni
di laurea.
Statuti e regolamenti sono scarsamente rilevanti: lo spazio di aggiornamento,
modifica, cambiamento e riscontro all'interno di questi è molto
più ampio e accessibile di quanto non siano le loro radicali riforme
o le loro improbabili, profonde ristrutturazioni, calate su una realtà
di strutture e di organico difficilmente eludibile.
Gli studenti della Facoltà di Architettura rifiutano gli 'indirizzi'
di laurea come stabiliti dalla legge, a fronte di una complessità
del mercato del lavoro che rende questi indirizzi ridicolmente riduttivi?
La Facoltà garantisce già il maggiore riscontro di questa
complessità con la libera articolazione della scelta di 9 insegnamenti
su 28, e inoltre consente di scegliere ben 8 insegnamenti su 28 fuori
dalla Facoltà stessa. Pochissimi studenti utilizzano questa potenzialità.
Ulteriore e non indifferente riscontro, è quello che viene correntemente
offerto consentendo ampie scelte di tesi su temi di progettazione architettonica,
di restauro, di tecnologia dell'architettura, di critica, di storia, di
scienza delle costruzioni, di tecnologia dei materiali, di sociologia,
di geografia urbana, di pianificazione territoriale e di urbanistica......
Gli studenti rifiutano il 'tetto' numerico che la Facoltà ha stabilito
per evitare il sovraffollamento specie ai primi anni?
La Facoltà ha difficoltà a credere che il corso di un docente
bravissimo sia molto qualificante quando il docente è travolto
da 500 studenti in aule che ne possono ospitare 200.
La Facoltà ritiene che giovani docenti, meno noti e popolari, più
difficili da seguire perché meno esperti didatticamente, siano
potenzialmente più interessanti delle vecchie e consolidate glorie
accademiche.
Vi sono docenti assenti, inadempienti, incapaci ? Nessuna indicazione
di questo genere, nemmeno anonima, è mai stata formulata in sede
competente, nè dagli studenti, nè dai loro rappresentanti.
Ecco dunque il problema che non è nuovo: una realtà complessa
e dai contenuti molto articolati viene affrontata in alcuni suoi aspetti
'formali' e di 'regolamento'.
Il confronto si porta sui dettati delle leggi: proprio sulla area per
la quale è minima se non nulla la competenza in sede locale, il
rifiuto è sul 'curriculum' imposto dallo Statuto (che è
una legge dello Stato), ma i curricula aperti e consentiti dalle norme
della Facoltà non sono praticati.
L'ampiezza delle libertà consentite non è riconosciuta,
nè praticata, mentre si contestano i vincoli posti dalla legge.
Lo spazio di dialettica e di confronto quotidiano e specifico (nei corsi,
con i docenti, nel lavoro di tesi, sui contenuti) è luogo di inerzia
e silenzio per stessa ammissione degli studenti, il rapporto tra individuo
e struttura viene mediato, sostituito, dall'assemblea: questa malattia
è vecchia e purtroppo conosciuta.
Come preside e funzionario delegato alla applicazioni di leggi, dalle
leggi non posso derogare nè lasciare che si deroghi, posso operare
per il loro aggiornamento e per la loro modifica e lo faccio continuamente
con tutti gli strumenti disponibili.
Come neosocialista, ex radicale (credo che la notazione 'ex' non sia
compatibile con l'aggettivo 'radicale') ho un profondo timore e robusti
sospetti per ogni manifestazione di supplenza e di alienazione dei rapporti
individuali.
Il luogo della democrazia, oggi, è luogo diffuso, la sua forza
è nelle migliaia di rapporti tra individui, rapporti quotidiani,
correnti, specifici, esatti, che nessuna assemblea può sostituire
o mediare. E' il luogo del cambiamento continuo, adatto, appropriato (reticolare).
Nessuna rivoluzione può essere più efficace.
Difficile da praticare per il costume italiano per il quale l'espressione
della propria opinione è sempre stata, per storia documentata,
soggetta a rischio e pericolo, imbarazzo e timore.
La mia raccomandazione a 'quelli dell'85' è quella di occupare
tutti gli spazi dialettici e di confronto 'diffuso' prima di occupare
licei e facoltà, e di non commettere lo stesso errore che cercano
di combattere impegnando gli istituti sui 'regolamenti' e sulle 'leggi'.
Di burocratismo si muore.
La strada delle occupazioni è una strada 'datata', di facili contingenti
vittorie per la naturale debolezza delle istituzioni che rifiutano la
violenza, e per la disponibilità alla demagogia e al conformismo
ideologico della cultura delle assemblee, ma di efficacia strategica dubitabile,
con potenziale grosso pericolo di involuzione sterile e di imprevedibili,
devastanti, effetti collaterali.
Una esperienza che in questo Paese abbiamo già fatto, diverse volte.
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