Le radici culturali di Abu Ghraib.
Lorenzo Matteoli
12 Maggio 2004
La stampa mondiale è impegnata da quasi due settimane nella censura
della catastrofe morale di Abu Ghraib. La condanna è dura, planetaria,
senza riserve. Il responsabile Rumsfeld, con i suoi generali incapaci
e svergognati, confessa di fronte a milioni di telespettatori. Bush conferma
la sua fiducia e si allinea in questa miseria.
Dopo le prime rivelazioni altre ne seguono sempre più gravi: il
fiume laido sembra inarrestabile. Si documentano le caratteristiche sistemiche
del comportamento obbrobrioso, la sua connotazione istituzionale, la sua
durata storica.
Per alcuni commentatori lo show televisivo di Rumsfeld è stata
una grande manifestazione di accountability e di vitalità democratica:
per me resta uno show televisivo.
Il dibattito andrà avanti per mesi, ci saranno i processi dei responsabili
diretti, condotti con grande spettacolarità per coprire il silenzio
e la protezione riservata agli alti livelli delle gerarchie militari e
politiche.
Tutto questo non minteressa più: ho scritto in una mia precedente
nota che lobbrobrio di Abu Ghraib e la rotta di Fallujah sanciscono
la sconfitta Americana in Iraq, morale, culturale, politica e militare.
Ho scritto anche che una sconfitta di questo genere ha dimensioni planetarie
e aggiungo qui che il significato è paragonabile a quello del crollo
del muro di Berlino, della rivoluzione Ungherese del 1956 e della sconfitta
del nazismo. Ho detto che è ora necessario valutare le implicazioni
e le conseguenze. Non ho ancora trovato traccia di valutazione nella pletora
di commenti pubblicati.
Lattacco alle torri gemelle e la rotta di Fallujah sono i due riferimenti
fondamentali della fine dellImpero Americano in una simmetria tragica.
Avevamo detto tutti, subito dopo lundici settembre 2001, che nulla
sarebbe stato come prima e adesso cominciamo ad avere una sensazione precisa
di cosa volesse dire veramente quellintuizione banale.
Altri e più importanti commentatori (lorrido Friedman, Paul
Krugman, Fisk, Pilger, Cockburn) dopo Fallujah e Abu Ghraib hanno suggerito
lidea della possibile sconfitta Americana in termini più
o meno ipotetici. Io non ho avuto incertezze e di seguito spiego perché.
Quello che sta succedendo in Iraq è la fase finale di un lungo
processo di degrado politico e culturale che ha dominato la vita Americana
negli ultimi 50 anni. Non è la deviazione accidentale, lo sbaglio
di alcuni, il comportamento criminale di pochi deviati teppisti: è
la struttura profonda dellethos immiserito che si esprime con tragica
coerenza.
Larroganza criminale di Rumsfeld, elogiata dal suo presidente e
dallintero gabinetto senza riserve, la sua conferma nella responsabilità
di segretario alla difesa, lipocrisia offensiva delle apologies
senza la conseguenza politica delle dimissioni non consentono riscatto.
Questa è la miseria del paradigma etico Americano attuale confermata
al massimo livello politico: è il senso del vivere oggi negli
Stati Uniti (per chi non ricordasse questa è la definizione
di cultura secondo Immanuel Kant).
Riconosciamo in altri episodi più o meno recenti la stessa miseria:
il razionalismo economico spinto fino alla criminalità finanziaria,
i processi senza condanna dei responsabili di furti immani fatti alleconomia
mondiale e non solo Americana, il sistematico impoverimento delle categorie
sociali deboli per il privilegio delle categorie forti, una scuola che
produce generazioni danalfabeti e incapaci, le punte della ricerca
tecnologica e scientifica fondate sul vuoto conoscitivo e culturale della
società, la violenza gratuita sistematicamente celebrata e impunita,
il culto puerile delle armi personali, lo spreco ambientale istituzionale,
il saccheggio ambientale del terzo mondo, larricchimento sui salari
da fame asiatici, laggressione come strumento di carriera, le tonnellate
di Prozac per consentire ai vinti di sopravvivere (come il soma
di Brave New World).
Larroganza impunita di Rumsfeld, Wolfowitz e dei generali vergognosi,
la loro pervicacia in una condotta feroce e catastrofica sono lo specchio
di una cultura che si è andata formando e confermando negli ultimi
50 anni: sfuggendo con la gradualità alla percezione dellopinione
pubblica Americana e mondiale e coperta dalla potente quanto vuota, e
oramai oscena, ideologia dellAmerican Dream. Come viene martellato
quotidianamente nel Pledge to the flag:
one nation under God with
liberty and justice for all.
Ci vorranno generazioni per uscire dal tunnel, e non se ne uscirà
senza una riforma profonda delle strutture fondamentali (educazione, formazione,
fisco, welfare, esercito, politica estera, politica ambientale, struttura
delleconomia): unimpresa che richiede la forza politica di
un capo illuminato e di una cultura diffusa capace di condividerne la
visione su un arco di tempo di mezzo secolo.
Vengono in mente la Francia di Charles De Gaulle che nel 1962 uscì
dalla tragedia della guerra dAlgeria, o gli Stati Uniti stessi che
uscirono dalla crisi del 29 grazie alla visione di Franklin Delano Roosevelt,
lInghilterra che vinse la Seconda Guerra Mondiale grazie alla passione
micidiale di Winston Churchill e che uscì dalla crisi degli anni
80 grazie alla sferzata conservatrice e innovatrice di Margareth Thatcher.
Purtroppo la macchina elettorale Americana non è più in
grado di produrre questa leadership ed è lei stessa vittima/matrice
del degrado etico complessivo. Come si dice in inglese we are in
for a long haul (traduzione approssimativa: ci aspetta un viaggio
molto lungo).
Un lungo viaggio comincia con un solo passo (Mao Tse Tung): questo
passo è oggi il riconoscimento della palmare evidenza in Iraq:
la sconfitta della Coalizione.
Lopinione pubblica mondiale deve acquisire la coscienza dellavvenuta
irreversibile sconfitta Americana in Iraq. Panebianco sul Corriere ha
di nuovo torto quanto invoca un altro grottesco domino: la
sconfitta Americana sarebbe la sconfitta di tutto lOccidente, di
tutti noi.
E vero il contrario: la sconfitta Americana ci offre lopportunità
di uscire da un lungo incubo nel quale siamo entrati quando, da giovani
entusiasti, abbiamo creduto allAmerican Dream e rifiutato il gulag
stalinista. Il sogno è finito a Saigon e Abu Ghraib è lultimo
atto della lunga decadenza. Per aiutare lAmerica a ritrovare se
stessa è necessaria la durezza della sincerità ai limiti
della volgarità. Dallobbrobrio di Abu Ghraib e dalla fuga
di Fallujah può partire un riscatto radicale. Ci vorranno decine
di anni e conviene incominciare presto.
Forse per questo sono morti mille Marines e decine di migliaia dIrakeni
e molti moriranno ancora.
Lorenzo Matteoli
12 Maggio 2004
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