Primavalle
Primavere e Inverni
La tutela della propria libertà non è delegabile
Lorenzo Matteoli, Febbraio, 2005
Dopo quattro
generazioni, due guerre mondiali, due dopoguerra mondiali, una dittatura
fascista ventennale, un regime consociativo durato cinquantanni,
una resistenza con forte sospetto di guerra civile, un decennio di terrorismo
con sospetto di guerra civile, e dopo duemila anni di storia, lItalia
ha ancora seri problemi a capire che lo spartiacque non è tra destra
e sinistra, tra fascisti e comunisti, tra guelfi e ghibellini, tra papisti
e imperiali, ma, molto più semplicemente, tra violenza e non violenza.
Chi uccide per imporre le sue idee, la sua religione, la sua fede, o per
vietare quelle altrui è uno che uccide, chi massacra suoi simili
per promuovere la sua rivoluzione, imporre la sua democrazia,
la sua libertà o il suo dio, è uno
che massacra. La filosofia, lideologia, la religione non centrano
per nulla.
Lidea che ammazzare gente di diversa opinione, religione o fede,
avversari politici o di parte ideologica sia utile per promuovere e far
vincere una idea, una ideologia, un sogno o un progetto, è mostruosa.
Certo che è molto più appagante, per lio dei giustizieri
della mazza e delle chiavi inglesi, presumersi eroi del pensiero, lucidi
rivoluzionari, generosi liberatori, che killers, ma questa loro presunzione
non deve essere assunta nel giudizio storico. Chi uccide o picchia passa
automaticamente dalla filosofia e dalle idee al ruolo di picchiatore o
omicida.
Chi ha ucciso, fatto uccidere e massacrare, predicato di uccidere o torturare,
cercherà sempre una copertura politica, ideologica o culturale,
e si appellerà a una giustificazione contestuale per
continuare a vivere, per dormire di notte, per sentirsi eroe, vate illuminato,
grande condottiero e geniale ideologo e per non affrontare la più
modesta realtà della dimensione criminale. Limportante è
non concedere questo territorio di apologia e giustificazione, né
agli esecutori, né ai mandanti: ognuno si assuma, e ad ognuno sia
data, la responsabilità che gli tocca e si eviti di cercare assoluzioni
che nessuno può dare.
Per queste ragioni i sottili esegeti e commentatori di qualsiasi parte
ci risparmino i tentativi per dare dignità ai picchiatori e ai
massacratori. Non esistono né leroico assassino, né
lilluminato torturatore, né il nobile picchiatore progressista.
La violazione fisica dellaltro è latto che separa,
senza recupero, la più civile delle idee e delle aspirazioni, dallorrore
che la sua imposizione violenta implica. Nessun meraviglioso ideale, nessuna
soggettiva valenza storica, può riscattare la violazione fisica.
Senza se e senza ma, come è di moda dire oggi.
Senza sottili distinzioni, manipolazioni di filosofia minore o esercizio
di assemblea liceale. Senza la ragioneria di quanti sono morti ammazzati
da chi e quanti da chi altro: sono tutti morti per mano di killers semplici
di mente, plagiati e per decisione dei loro mandanti, reazionari manipolatori
di filosofie modeste o di contorte manovre di potere.
Ci sono responsabilità storiche della cultura, degli intellettuali,
della critica sociale che, nei decenni precedenti hanno consentito laprirsi
del vuoto concettuale e di valori che ha determinato, a destra e a sinistra,
il vuoto politico, la disaggregazione sociale e la marginalità
che sono poi esplose nella protesta violenta: questo per capirla e non
per giustificarla.
Questa deve essere la valutazione della storia ed è una valutazione
sempre aperta. Ogni epoca giudica continuamente ogni altra
epoca con i suoi criteri e con la sua cultura: per questo la storia scritta
è sempre storia contemporanea come diceva Benedetto Croce.
LItalia soffoca nel mare di parole e di sottili distinzioni finalizzate
a nascondere i propri cadaveri nei diversi armadi, o, peggio, a dimostrare
un presunto primato etico della violenza della propria parte e lindegnità
della violenza di altre parti, e si perde il senso delle cose tanto da
non saper riconoscere nemmeno la semplice, limpida evidenza: chi uccide
è un assassino, chi picchia è un picchiatore, indipendentemente
dalle etichette ideologiche che gli si vogliono dare e da qualunque contestualizzazione.
Le vere rivoluzioni non si fanno con milioni di morti ammazzati, ma con
la resistenza e lopposizione quotidiana e coraggiosa di milioni
di vivi. Se questo fosse il costume consolidato non ci sarebbe mai bisogno
di rivoluzioni
Questa la mia opinione per quanto concerne la violenza commessa per imporre
le proprie idee o combattere quelle altrui: molto più semplice
del dibattito attuale in Italia sulle memorie divise. Suona qualunquista
e semplice rispetto ai sottili sofismi dialettici correnti, a mio avviso
questa potrebbe essere una prova della obbiettiva solidità di questa
tesi.
Questa analisi e questa condanna possono contribuire alla comprensione
di singoli episodi: a capire lo specifico. Ma non ci si può limitare
a questo livello. Che individui deboli di mente e facilmente manipolabili
da cattivi maestri e da finti filosofi possano esaltarsi al punto di sentirsi
giustizieri in fondo è una banalità.
Una riflessione più interessante potrebbe essere svolta sulla analisi
che portò alla conclusione che lItalia era matura per una
rivoluzione nel 1970 e in più che questa rivoluzione
poteva essere di tipo leninista. Molti di quegli analisti
sono oggi in cattedra.
E mancato lo studio di come si forma, in un gruppo sociale, lambiente
culturale e politico perché queste grossolanità si possano
svolgere e possano arrivare alla dimensione che ha connotato lItalia
degli anni 70, un Paese che per la sua storia si ritiene culla di
civiltà.
E importante sapere dove nascono i cattivi maestri e i filosofi
da assemblea liceale, e come mai il contesto più ampio della pubblica
opinione della gente normale, prima li ignora, poi tollera, e infine li
subisce o addirittura li incoraggia, e, anche dopo molti anni, non ne
percepisce e denuncia il vuoto concettuale.
Bisogna capire come mai, in qualche punto del percorso dialettico, alcuni
di questi vengano addirittura assunti dagli ambienti ufficiali
della politica e della amministrazione dellordine pubblico per essere
strumenti di disegni diversi e illeggibili allanalisi decente
Il processo di avvelenamento è graduale: il veleno nelle fasi iniziali
del processo di comunicazione non è percepibile. La conformità
e i luoghi comuni possono nascondere il germe che, nella successiva elaborazione
collettiva, si trasforma in mostro, per diventare alla fine il coltello,
la mazza, la chiave inglese Hazet 36, la P38 o la bomba sul treno.
E bene essere chiari: quello che sembra venire introdotto da questa
posizione non è un altro tentativo di giustificazione contestualista
dei picchiatori e dei massacratori. Questi, con i loro mandanti, se si
trovano, restano purtroppo senza riscatto e assumono la responsabilità
totale e ultima dei loro gesti. Ma capire è necessario.
Quando slogan come ammazzare un fascista (un nero o un rosso) non
è reato, ammazzare uno sbirro non è reato,
"Alla luce del sole splendono le Hazet 36, simbolo dell'antifascismo
militante", o altri ideologicamente omologhi o simmetrici arrivano
sulla piazza, il percorso precedente deve essere individuato per cogliere
lattimo nel quale il sonno della ragione genera i mostri.
Una domanda esige risposta per evitare equivoci: è lecito opporsi
con violenza a chi usa la violenza per imporre le sue idee o aggredire
le tue? E giusto diventare massacratore per massacrare un massacratore?
Si tratta di un dilemma che non può consentire facili alibi o fughe,
quando i suoi termini si pongono in modo tragicamente evidente (cfr Dietrich
Bonhoeffer), come spesso avviene nella storia quando la libertà
è aggredita da potere perverso e violento.
Reagire con durezza alla violenza è ineludibile, ma fin che restano
strumenti di rappresentazione democratica e di garanzia di verifica legittima
e politica, questi vanno applicati. La responsabilità di chi innesca
il ciclo violento è enorme: lesperienza storica (e di cronaca)
ci dimostra che sono cicli senza fine.
La tutela della propria libertà non è
delegabile.
E arrogarsi la tutela della libertà altrui è sempre equivoco.
Mentre oggi pacatamente analizziamo e discutiamo della violenza, del sonno
della ragione e dei mostri degli anni 70, non ci rendiamo conto
che quel veleno è ancora presente nella nostra società.
E sorprendente in Italia la sicurezza con la quale molti affermano
che ci sia una differenza morale fra la violenza praticata
da una o dallaltra parte. Anche in aree insospettabili della professione
giornalistica, dellUniversità e della Magistratura si ritrova,
dato per scontato, lassunto della differenza morale
tra una violenza e laltra. Un pregiudizio reso ancora più
pericoloso perché somministrato con apparente obbiettività
e confezionato in termini di autorevole ragionevolezza.
Ci sono ancora cose che non si possono dire e una di queste è che
quella distinzione non ha dignità e va denunciata come germe di
pregiudizio reazionario.
Cè chi pensa alla violenza come ad un male necessario per
far vincere le idee di libertà, di progresso, di cambiamento sociale.
Una illusione tragica: la violenza si pone al contrario come una barriera
impenetrabile per le splendide idee che vuole promuovere con le chiavi
inglesi e le mazze chiodate. Le condanna e le fa condannare dalla ineludibile
reazione e dal disgusto che provoca. Io sono per lilluminismo senza
ghigliottina, per la primavera senza Primavalle e senza compagni che sbagliano.
Cè oggi una nostalgia del 68 che vede in quella fase
uno splendido sbocciare di nuove idee e linizio di cambiamenti epocali.
Si dice lEuropa è oggi diversa grazie alla primavera del
68. Può anche essere vero, ma ci si deve anche domandare
come sarebbero oggi lItalia e lEuropa se non avessero dovuto
pagare quella primavera con gli anni del terrorismo e delle bombe rosse
e nere. E siamo proprio convinti che la Società sia così
radicalmente cambiata e che si viva in una nuova era dove le istituzioni
rispettano i cittadini e viceversa? Vedo solo prevaricazione intorno:
le banche arroganti e truffatrici, le grandi industrie e corporazioni
padrone, sindacalismo fazioso o connivente, le istituzioni prevaricano
invece di servire, il voto dei cittadini tradito da alleanze trasversali
e fittizie, i giornali al servizio dellarroganza e dello strapotere.
Luniversità impestata dalla burocrazia e da una penosa presunzione
meritocratica: erano meglio i baroni almeno alcuni erano capaci
e intelligenti. Il burosauro è sempre disperatamente stupido. Gli
ex giovani del 68 vivono integrati e felici nel peggiore dei sistemi.
Il resto è silenzio e marginalità di miseria e droga. Mi
domando: valeva la pena violare la primavera per promuovere una reazione
di questo genere? No: la violenza è sempre reazionaria.
Al disperato bisogno di una visione, della più modesta
utopia per non parlare di sogni, risponde Bertinotti associandosi a Prodi,
con la benedizione di Fassino.
Il seme della violenza
Basta fare un rapido giro su internet per trovare i siti dei giustizieri,
delle chiavi inglesi e delle mazze: tutti ancora e sempre convinti di
essere depositari della verità e tutti convinti della necessità
di eliminare fisicamente gli altri. Ognuno convinto di essere
indiscutibilmente il migliore.
Lanfranco Pace e Giuliano Ferrara svolgono analisi ragionevoli e fredde,
dicono che lItalia è maturata oltre il settarismo
viscerale, si considera con orrore il revival del rogo di Primavalle,
e di tutti gli altri roghi, pogrom, linciaggi, pestaggi, massacri, genocidi,
sparizioni e torture.
Ma il sonno della ragione striscia nellopinione pubblica, la distrazione
del mainstream prepara di nuovo il terreno per nuove possibili
esplosioni.
Dobbiamo quindi pensare che il sonno della ragione non sia
una condizione accidentale, congiunturale: è strutturale e radicato
nella cultura collettiva e nei comportamenti sociali. Forse anche peggio:
è parte del patrimonio genetico della nostra specie. Una forma
di gerarchizzazione dei problemi finalizzata alla soluzione dei pericoli
immediati e contingenti ereditata dal cacciatore preistorico
si è trasformata in rimozione di futuri sgradevoli. La matrice
della conformità.
Il mainstream preoccupato per il presente è distratto
sul futuro, sempre in uno stato di dormiveglia e pronto al sonno
della ragione.
I mostri, sempre gli stessi, invisibili preparano i veleni.
Cosa fare allora?
I moderati e gli scettici, non fanno rivoluzioni, non scendono in piazza
e non fanno girotondi che, anzi, guardano con sospetto, come luoghi di
espressione ed esaltazione della conformità.
Lo scetticismo è una passione fredda, costante e quotidiana.
Difficile da praticare perché dispiace a tutti. Irrita tutti.
Tutti sospettano, dietro lo scetticismo, una linea aventiniana, supponente,
elitaria, qualunquista o pregiudizialmente antagonista.
Questultimo sospetto può essere corretto: lo scetticismo
è antagonista nei confronti di qualunque fede o dogma o presunzione
di verità.
Lo scetticismo è omologo alleresia: al rogo quindi!
Quando si rifiutano gli atti di fede ideologica questa è la marcatura
che consegue: chi crede sospetta e teme chi non crede
e lo sente profondamente altro.
Tutti sentono il germe destabilizzante della posizione non-etica.
La verità è che la verità non esiste: un mio slogan
da sempre, ma che non implica affatto la rinuncia a cercarla.
La ricerca di quel vero, che sappiamo non esistere, è un classico
della utopia ragionevole.
Il vero guaio però non sta nel credere o nella fede
in una delle tante ideologie: il vero guaio è il sospetto, il rifiuto
e lostilità nei confronti degli altri che può
arrivare nelle menti deboli, attraverso la strumentale esaltazione, al
limite del fanatismo e del desiderio di annientamento.
Ci sono molte forme di arroganza, una in particolare mi interessa perché
si insinua nel costume corrente come una droga piacevole che provoca assuefazione:
la chiamerei larroganza passiva del conformismo, larroganza
di chi partecipa, inerte, dellopinione dominante o congiunturalmente
comoda e si ritiene quindi esente dal debito critico quotidiano, o, meglio
che non si pone nemmeno il problema di un possibile debito critico.
Peggio, che considera con qualche fastidio o con sufficienza i grilli
parlanti che si permettono di dire, non abilitati (io
domando da chi?), la loro opinione.
E questa la forma più pericolosa di conformismo proprio perché
implicita e supportata dalla potenza di manipolazione dei mezzi di comunicazione
pubblici, TV e giornali. E anche lunica però sulla
quale lazione preventiva può avere senso. Impossibile infatti
intervenire sulle forme esplicite di intolleranza e di arroganza che richiedono
radicali revisioni culturali e di condotta dei soggetti individuali e
sociali, quasi sempre inattuabili: queste si devono esaurire, isolate,
per superamento generazionale o per logoramento da contro-informazione.
Chi si ammala di questa malattia è difficilmente recuperabile:
si può solo svolgere una intensa azione sociale preventiva sperando
che sia anche una terapia efficace.
Lazione preventiva da svolgere nel sociale, nelle istituzioni e
in particolare nella scuola, è la resistenza attenta, sistematica,
continua e quotidiana alle diverse forme di arroganza del conformismo.
E una azione semplice, ma richiede tenacia e un pò
di coraggio e la si può descrivere sinteticamente nel seguente
modo: ascoltare lopinione degli altri, elaborare la propria ed esprimerla
per sottoporla sistematicamente al vaglio critico dellopinione altrui.
Essere capaci di cambiare opinione.
Lorenzo Matteoli
Milano, febbraio 26, 2005
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